DOPO IL CASO DELLA BAMBINA IPOVEDENTE DI TORNIO SI RIACCENDONO LE POLEMICHE
(DIRE - Notiziario Scuola) Roma, 8 apr. -"Al nostro Paese va riconosciuto certamente il primato normativo in materia di handicap". Cosi' Giuseppe Di Mauro, pediatra e presidente della Societa' di pediatria preventiva e sociale (Sipps), dopo il caso della bambina di 11 anni ipovedente a cui e' stata prima negata e poi concessa l'iscrizione alla scuola media - grazie all'intervento del ministro Profumo - ha riacceso, a livello nazionale, le gia' forti polemiche sul diritto all'integrazione degli alunni portatori di handicap, un processo che caratterizza da quasi trent'anni la scuola italiana.
"Di fatto pero'- spiega Di Mauro- tra la norma e la pratica sussiste un gap temporale notevole e quando l'attuazione normativa si realizza formalmente, continuano ad esistere realta' che attestano difficolta' organizzative, sociali, istituzionali, pratiche che rendono talvolta vano o parzialmente tale il diritto all'istruzione e all'integrazione degli alunni diversamente abili in tutti gli aspetti della societa'. Noi pediatri della Sipps ribadiamo ancora una volta il diritto di ogni essere umano a ricevere accoglienza e cura in modo da vivere con dignita'. Oltre al grande valore educativo che assumono anche per i bambini normodotati, l'inserimento e l'integrazione delle persone disabili nella societa' non possono prescindere dal loro diritto all'istruzione e alla formazione".
Se in Italia e' con la Riforma Gentile del 1923 che si introduce per la prima volta una disposizione normativa riguardante l'inserimento di bambini "portatori di deficit" nella scuola, e' con la legge quadro 104/92 che si arriva finalmente ad affermare il diritto per tutti gli alunni in situazione di handicap (anche grave) a frequentare le classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado (scuola materna, elementare, media e superiore). In realta' la legge parla chiaro: la scuola non puo' rifiutare le iscrizioni neanche nel caso in cui esse siano superiori alla capacita' ricettiva della scuola e se lo fa commette un illecito penale. Un aspetto fondamentale della legge 104 del 1992 e' che per la prima volta si parla di integrazione e non soltanto di inserimento. Il bambino diversamente abile non e' soltanto inserito fisicamente nella classe e nella scuola, ma e' necessario che sia pienamente integrato nel gruppo dei suoi coetanei e della scuola stessa per essere reso partecipe di ogni attivita', nel rispetto di quelle che sono le sue possibilita' di interazione.
"E' fondamentale- afferma Di Mauro- che i servizi scolastici siano programmati in accordo con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi e che, piu' in generale, nelle scuole vengano rispettate alcune regole necessarie per il corretto sviluppo dei bambini diversamente abili: la scuola deve realizzare un'opera educativa e didattica che sia differenziata, individualizzata e personalizzata per tutti gli alunni; gli insegnanti dovrebbero sempre fare in modo che il bambino con handicap non si senta mai escluso dalla quotidianita' della classe, vivendo a stretto contatto con i propri coetanei e partecipando attivamente alla vita scolastica, all'interno della classe e non fuori da questa; il bambino diversamente abile non dovrebbe essere seguito soltanto dall'insegnante di sostegno, ma tutti gli insegnanti dovrebbero interagire con lui, esattamente come fanno con gli altri bambini; la figura dell'insegnante di sostegno dovrebbe essere vista, all'interno della classe, come un'ulteriore risorsa a cui tutto il gruppo puo' attingere; nella scuola e' necessaria anche la figura dello psico-pedagogista, che dovrebbe essere consultata e coinvolta dal team dei docenti e dalla famiglia del bambino, e poter entrare nel merito della quotidianita' scolastica, condividendo, cosi', il suo percorso educativo e sociale.
L'integrazione nella scuola dei bambini diversamente abili non e' soltanto un atto spontaneo di bonta', ma anche un dovere al quale nessuno deve sottrarsi, tale dovere dovrebbe, inoltre, essere avvertito come una responsabilita' etica, morale e come un sentimento di assoluta solidarieta' e partecipazione.
(Wel/ Dire)