Roma, 7 feb. - In Molise, immersa nel verde del bosco Faiete, sulla sommita' del monte Vairano, esiste un polo d'eccellenza nel campo dell'oncologia e delle malattie cardiovascolari. Si tratta della Fondazione Giovanni Paolo II di Campobasso, di proprieta' dell'Universita' Cattolica Sacro Cuore di Roma, punto di riferimento per le regioni del centro-meridione ma non solo. Classificata come ente di ricerca e cura ad alta specializzazione, la Fondazione si avvale di un parco tecnologico particolarmente avanzato e in pochi anni di attivita' (dal 2003, per la precisione) ha ottenuto importanti riconoscimenti. L'ultimo e' arrivato dal ministero della Salute: il Piano nazionale esiti 2017 di Agenas, infatti, l'ha collocata al secondo posto in Italia in due tabelle tra le piu' significative, quelle che riguardano l'intervento di bypass aortocoronarico e la sostituzione valvolare. Per saperne di piu' l'agenzia Dire ha intervistato il direttore generale della Fondazione, Mario Zappia.
- L'indice di mortalita' e' pari allo 0,32% per il bypass - a fronte di una media nazionale del 2,15% - mentre per quanto riguarda la valvuloplastica la fondazione si attesta allo 0,56% rispetto alla media nazione del 2,66%. Qual e' il segreto del vostro successo? "Al di la' delle cifre, questi numeri sono importanti perche' danno la valenza dei risultati. Il concetto importante, che noi come management dobbiamo culturalmente acquisire, e' che su tutte le nostre attivita' e competenze dobbiamo poi 'render conto' nei fatti al malato, al paziente e all'opinione pubblica. Per questo e' importante misurarsi costantemente con i numeri, che non sono vuoti, ma rappresentano persone controllate a distanza con un follow-up in qualsiasi altra struttura sanitaria. Sappiamo che e' prezioso non solo il lavoro fatto in sala operatoria o l'intervento in se', ma soprattutto quello che avverra' dopo; solo a 30 giorni riusciamo infatti ad avere i risultati della terapia, anche in termini di efficacia clinica, che possono essere o meno indice di un buono stato di salute".
- Parliamo un po' di numeri: quanti interventi eseguite all'anno sui pazienti e quanto personale e' impegnato nella Fondazione? "Intanto non dobbiamo dimenticare che la Fondazione e' in Molise, una bellissima regione, che conta pero' solo 350mila abitanti. Nell'ultimo anno siamo comunque riusciti ad eseguire un buon numero di interventi di cardiochirurgia, esattamente 561, di cui quasi il 50% hanno riguardato pazienti extra-regione. Quando si lavora bene e' normale che questo accada; cosi' curiamo persone provenienti da Campania, Lazio, Abruzzo, Puglia, ma anche Calabria, Sicilia e Basilicata. Quanto ai dipendenti, ne abbiamo 420 che lavorano all'interno della struttura con varie mansioni. Insomma, la Fondazione e' piccolina, ma e' veramente un gioiellino che sorge sul cucuzzolo di una montagna a Campobasso".
- Un efficace piano di investimenti tecnologici migliora la qualita' dell'assistenza e fa risparmiare il Servizio sanitario nazionale. È d'accordo? "È quello che bisognerebbe fare e che noi abbiamo iniziato a fare dallo scorso anno. La prima azione da parte nostra e' stata un riequilibrio dei conti per evitare dissesti o altre passivita'; poi abbiamo curato la qualita', ma per mantenerla alta ora c'e' bisogno di fare investimenti in tecnologia e nello 'know how'. Vorremmo in particolare inserire tecniche innovative mini-invasive per quanto riguarda la cardiochirurgia".
- Siete in controtendenza rispetto alle altre realta' del sud Italia, dove spesso si sente parlare di una sanita' inefficienteà A che punto e' la ricerca, in generale, nel Meridione? E cosa c'e' ancora da fare? "È ovvio che c'e' ancora tanto da fareà Noi abbiamo la fortuna di essere collegati con il Policlinico Gemelli e l'Universita' Cattolica di Roma, quindi abbiamo professori, ricercatori e studenti con corsi in loco e molte attivita' di ricerca (sempre per le branche di cui ci occupiamo principalmente, cioe' cardiovascolare e oncologico), che stanno avendo una crescita sempre progressiva. E questo e' importante, perche' ti da' lo stimolo non solo a studiare e a fare ricerca, ma soprattutto a far si' che quella stessa ricerca avvenga nella clinica traslazionale e dunque trasferita direttamente sul paziente".
(Red/ Dire)