Il direttore dell'istituto di Bioetica intervistato dalla Dire
(DIRE - Notiziario settimanale Sanita') Roma, 22 mar. - L'autotrapianto di cellule staminali e' in grado di fermare a lungo la progressione della sclerosi multipla. Almeno secondo una ricerca condotta da due studiosi italiani dell'Azienda ospedaliero universitaria Careggi di Firenze e dell'Imperial college di Londra, che ha analizzato i dati di 281 pazienti affetti da sclerosi multipla e sottoposti ad autotrapianto di cellule staminali del sangue tra il 1995 e il 2006 in 15 centri di 13 Paesi, e seguiti dopo la procedura per una media di quasi 7 anni. Lo studio, pubblicato su 'Jama neurology', era stato concepito con l'intento di verificare l'efficacia di questa procedura, non immune da rischi, per un periodo di tempo sufficientemente lungo da fornire dati attendibili.
"Gli studiosi hanno visto che ci sono dei risultati positivi, nel senso che per 5 anni la malattia si e' fermata, pero' l'ultima risposta e' quella del trial controllato", ha dichiarato il dottor Antonio Spagnolo, direttore dell'Istituto di Bioetica dell'Universita' Cattolica Sacro Cuore di Roma, intervistato dall'agenzia di stampa Dire. Il tutto in una malattia che, nonostante l'efficacia dei farmaci approvati, tende a provocare una lenta ma inesorabile progressione della disabilita' nella grande maggioranza dei pazienti. Ebbene, lo studio ha mostrato che nel 46% dei pazienti, generalmente selezionati per una malattia particolarmente aggressiva e scarsamente sensibile alle terapie precedentemente somministrate.
La procedura consiste nel prelievo di cellule staminali del sangue mediante una chemioterapia e la somministrazione di farmaci che fanno uscire le cellule staminali dal midollo osseo per andare nel sangue. Il paziente viene quindi sottoposto ad una chemioterapia ad alte dosi che ha il compito di distruggere il sistema immunitario difettoso; subito dopo le sue cellule staminali vengono reinfuse per via endovenosa come una normale trasfusione. Il sistema immunitario si rigenera a partire da queste cellule, senza il difetto che causava gli attacchi della malattia.
"I risultati ci spingono a credere che sia importante fare uno studio controllato - ha continuato Spagnolo - in cui da un lato si mettono pazienti che seguono il trattamento farmacologico e dall'altro pazienti che hanno fatto il trapianto di cellule staminali. Anche perche' ancora non possiamo dire con certezza che sia stato il trapianto ad arrestare il corso della malattia, a volte questo accade spontaneamente. Solo il trial puo' dircelo". I ricercatori sottolineano che il trapianto e' una procedura non scevra da rischi e che per questo va riservata a pazienti selezionati. Nello studio 8 pazienti sono deceduti nei primi 100 giorni dal trapianto; il rischio di complicanze fatali e' pero' piu' modesto nei pazienti trapiantati in fase precoce di malattia. "In questo studio c'erano situazioni varie e diverse fra loro - ha ricordato Spagnolo - per vari motivi: sia perche' ancora la cura e' in fase di sperimentazione e sia perche', visto il rischio seppur minimo che comportava, e' stata sottoposta come ultima chance a pazienti che avevano gia' affrontato un percorso di cura.
Nel trial controllato dovremmo eliminare ogni elemento confondente per comprendere la reale efficacia. Dal punto di vista etico qualcuno potrebbe far fatica ad accettare l'idea di un trapianto di cellule staminali senza aver fatto prima un trattamento farmacologico che, seppur limitati, ha mostrato dei risultati. In realta' i dati del studio indicano che la precocita' della cura e' uno degli elementi di successo". E' adesso importante, dicono i ricercatori, promuovere uno studio prospettico che compari l'efficacia del trapianto con le piu' moderne terapie oggi disponibili in un gruppo di pazienti selezionati per una forma di sclerosi multipla particolarmente aggressiva. Questo trattamento puo' essere molto efficace nel breve e medio termine (2-4 anni) ma nel lungo termine (5 anni e piu') vi erano solo studi in piccoli numeri di pazienti, con questo studio si sono raccolto evidenze che sostengono un effetto duraturo del trattamento.
Oltre a rinforzato le conoscenze sui fattori associati a un migliore decorso della malattia post-trapianto: giovane eta', forma recidivante-remittente, minor numero di trattamenti immunosoppressori ricevuti prima del trapianto, e livello di disabilita' lieve o moderato. Una convinzione condivisa anche da Spagnolo, che sempre all'agenzia Dire ha concluso: "I dati che hanno riportato ci dicono che in circa la meta' dei pazienti la progressione della malattia si e' arrestata. Questo impone di muoverci in questa direzione".
(Red/ Dire)