(DIRE - Notiziario Sanità) Roma, 4 mar. - "Troviamo i soldi. Io sono veramente stanca, basta col volontariato e la beneficenza, la violenza di genere e' un problema che riguarda tutta la societa'". Serena Dandini entra senza mezzi termini nella discussione del convegno "Codice violenza", all'ospedale San Camillo. Chiamata a fare una piccola performance tratta dal suo libro "Ferite a morte" entra nel vivo del problema: in questo ospedale esiste da cinque anni lo "Sportello donna" dentro al triage del pronto soccorso, in posizione strategica per accogliere le donne che dicono di essere "scivolate nella doccia" (titolo della pubblicazione che ne riassume l'esperienza) e che in realta' hanno subito violenza, quasi sempre da parte dei loro mariti, compagni o ex. A luglio questo progetto realizzato dalla cooperativa BeFree, organizzatrice del convegno, rischia di chiudere per mancanza di fondi, dopo un anno di finanziamento da parte di WeWorld (una organizzazione non governativa italiana di cooperazione allo sviluppo) e diversi mesi a mezzo servizio, con la sola reperibilita' notturna.
"Le donne vittime di violenza accedono cinque volte piu' delle altre ai presidi sanitari - spiega Maura Cossutta, politica e medico -, si tratta di un problema di sanita' pubblica, in cui ogni investimento in prevenzione si trasforma in risparmio. E qui i risultati ci sono, bisognerebbe mettere a sistema il metodo applicato qui". Che si tratti di un problema anche economico lo dicono i dati elaborati in base a una elaborazione della ricerca dell'Istat del 2006 "Quanto costa il silenzio": si calcola che quasi 7 milioni di donne in Italia abbiano subito violenza, che porta a danni morali, materiali e sanitari di circa 17 miliardi di euro. Una cifra enorme, ma in linea con la media europea (in Inghilterra sono circa 14).
C'e' innanzitutto un timore a esternare cio' che e' accaduto, da cui le scuse per giustificare nasi rotti, fratture e lividi. "E' difficile ammettere di essere vittima - spiega Filippo Coia, medico che ha collaborato al progetto - anche perche' non si sa il giudizio di chi si ha di fronte, gli occhi puntati addosso della gente in attesa. Noi corriamo al pronto soccorso, e invece bisogna avere uno spazio protetto, e i tempi giusti, per permettere a noi di cogliere quella sfumatura che fa capire cosa e' successo, e a una donna di esternare quanto accaduto. Per questo non possiamo far aspettare cinque ore, mentre i bambini le aspettano e i mariti ritornano, rischiano di cambiare idea e andarsene". E invece i dati degli ultimi due anni di sportello dicono che un terzo delle donne ha denunciato, contro una media italiana del 7%.
"Stiamo dicendo che abbiamo fra le mani un gioiello - commenta Oria Gargano, presidente di BeFree -, che vado a raccontare in tutta Europa, perche' l'idea di due porte di accesso allo sportello, dalla sala d'attesa e dall'interno, ci permette di aggirare chi le accompagna, con un'esperienza a stretto contatto con il pronto soccorso unico in Europa. Abbiamo anche lavorato gratis, ma ora non sappiamo piu' come andare avanti".
Fondamentale anche il fatto di essere 24 ore su 24, perche', come sintetizza Lidia Ravera, "l'uomo violento non ci fa la cortesia di menarci in orario d'ufficio".
Fra gli elementi fondamentali vi sono allora la creazione di uno spazio e di un tempo di rispetto della donna, ma anche la formazione degli operatori, che devono essere in grado di riconoscere i sintomi e intervenire in modo appropriato. Da quando esiste "Codice rosa" a Grosseto, racconta l'ideatrice Vittoria Doretti, le denunce sono passate da due in tre anni a 509 in un anno.
Qualche speranza arriva da Giovanna Martelli, consigliera del Presidente del Consiglio per le Pari Opportunita', che spiega che il Piano Nazionale antiviolenza e' ormai completo, e che ha un finanziamento di 30 milioni di euro, 10 solo per la realizzazione e il sostegno dei centri antiviolenza per il 2015. Anche la Regione Lazio, rappresentata da Cecilia D'Elia, Marta Bonafoni e Lidia Ravera, pare avere ancora qualche fondo da spendere su questo ambito. Conclude Antonio D'Urso, Direttore Generale dell'ospedale, "Cosi' non possiamo piu' andare avanti, a questo punto o abbiamo una risposta pubblica, o usiamo il nome del San Camillo per una raccolta fondi, che sia il cinque per mille o una colletta".
(Wel/ Dire)