(DIRE - Notiziario Sanità) Roma, 2 apr. - Seimila vite in più ogni anno in Europa. Tante se ne salverebbero tornando a usare l'albumina nei reparti di terapia intensiva per combattere le infezioni. Lo racconta uno studio sull'efficacia di questa proteina cui ha contribuito un gruppo di ricercatori dell'Università di Bologna coordinato da Stefano Faenza, direttore dell'Unità operativa di anestesiologia e rianimazione del policlinico di Sant'Orsola, pubblicato in questi giorni dal New England Medical Journal.
Lo studio ha coinvolto per tre anni e mezzo 100 centri di rianimazione in Italia e analizzato i dati di 1.818 pazienti con patologia infettiva grave, risultando uno dei più ampi mai condotti per questa patologia. I clinici hanno diviso in pazienti in due gruppi: al primo è stata somministrata soltanto una soluzione di acqua e sali; nel secondo è stata aggiunta albumina, una proteina presente naturalmente nel sangue che ha, tra l'altro, proprietà anti-infiammatorie, ma la cui concentrazione diminuisce proprio nei pazienti affetti da sepsi grave.
In questi caso l'infezione dal sangue può diffondersi a tutti gli organi e tessuti; nei casi più gravi produce uno shock settico, che può generare l'insufficienza degli organi e la morte nel 50-60% dei casi. In Europa i pazienti con una diagnosi di sepsi grave o di shock settico sono il 15-20% di quelli ricoverati nei reparti di rianimazione. In Italia queste patologie colpiscono almeno 16 mila persone, che arrivano a 120-200 mila a livello europeo.
Iniettare in questi pazienti albumina potrebbe migliorare il decorso della malattia. Da vent'anni, però, un dibattito molto acceso sul tema aveva portato a considerare questa soluzione più ricca di rischi che di vantaggi. Lo studio cui ha contribuito il Sant'Orsola mette la parola fine a queste polemiche. Già dopo sette giorni di terapia, il gruppo che aveva ricevuto anche l'albumina aveva una pressione sanguigna migliore e un minor accumulo di liquidi nei tessuti. Nei pazienti infetti senza un quadro di shock l?infusione di albumina non sembra influenzare in maniera significativa i decorso clinico, mentre nei pazienti più gravi, con shock settico il trattamento con albumina ha dimostrato un abbassamento della mortalità pari al 6-7% dimostrandone l'indiscutibile efficacia.
Sul tema della sepsi esiste, al di là di questo studio, una forte attenzione da parte del policlinico di Sant'Orsola.
attivo, infatti, un apposito percorso per favorire il precoce riconoscimento di questa patologia e l'avvio dell'adeguato iter diagnostico- terapeutico del paziente con sepsi, sepsi grave o shock settico.
(Wel / Dire)