(DIRE - Notiziario salute) Roma, 22 ott. - "L'aumento della vita sedentaria in casa, l'incremento della speranza di vita media globale e le propagande contro l'eccessiva esposizione ai raggi solari per evitare i rischi di invecchiamento precoce e cancro della pelle hanno favorito l'utilizzo di creme solari con protezione pari o superiore a 15, di fatto annullando l'apporto di vitamina D che fino a qualche tempo fa era a disposizione del nostro metabolismo in modo naturale. Se dunque, da un lato, questi fattori hanno posto un freno ai rischi d'invecchiamento cutaneo e dei tumori connessi, dall'altro non possiamo non riflettere sulle correlazioni che indicano, con quantita' adeguate di vitamina D, una minor incidenza di tumori a prostata, colon e seno". Cosi' il professor Angelo Azzi, docente presso la Tufts University di Boston e tra i piu' grandi esperti in campo mondiale di alimentazione e nutrizione clinica, intervenendo a margine del 'Workshop on Vitamin D', organizzato dall'Universita' Campus Bio-Medico di Roma nei giorni scorsi. L'evento ha visto la presenza di alcuni tra i piu' importanti studiosi e ricercatori su questa tematica, tra cui Paul Coates, Rob Russell, Elizabeth A. Yetley e Christine Taylor, tutti provenienti dal National Institute of Health statunitense, l'Agenzia che si occupa di ricerca medica presso il Dipartimento per la Salute Usa. "Ecco perche'- prosegue Azzi- le evidenze scientifiche ci dicono che tra popolazioni del Nord e del Sud del mondo oggi non c'e' sostanziale differenza di quantita' di vitamina D nell'organismo, nonostante le diverse latitudini. In entrambi i casi, cioe', si parli dei 'Paesi del sole' o di quelli in cui i raggi sono molto piu' flebili e di minor durata, le persone hanno livelli di questo ormone troppo bassi. Cio', evidentemente, impone l'utilizzo di sistemi di supplementazione". La vitamina D, infatti, sembra essere una delle componenti efficaci per prevenire non solo le fratture, ma anche molte altre patologie. Ecco perche' l'alternativa utile a scongiurare i pericoli di eccessive esposizioni alle radiazioni solari, che garantirebbe nel contempo un sufficiente apporto di questa importante sostanza potrebbe essere la supplementazione, ovvero l'integrazione attraverso prodotti nutrizionali specificamente pensati per dare all'organismo questa vitamina. Tuttavia, soltanto attraverso studi clinici con un gran numero di partecipanti, dell'ordine delle migliaia di persone, si potra' avere la prova provata che le correlazioni di cui oggi parliamo sono sperimentalmente confermate. Cosi' come si potra' capire meglio qual e' la quantita' migliore da fornire in base all'efficacia che essa dovesse presentare in termini di prevenzione, da sola o in correlazione con altre sostanze.
Sono gia' in corso nel mondo una decina di trials clinici su campioni numerosi, per verificare che lasupplementazione abbia un'efficacia reale e per capirne i limiti. Al workshop del Campus Bio-Medico, tuttavia, e' stato confermato che recettori in grado di utilizzare la vitamina D esistono non solo, come si sa da tempo, sulla parete dell'intestino, per favorire l'assorbimento del calcio e garantire una maggior densita' ossea (tanto utile specie alle donne in menopausa), ma che ne dispongono anche altre cellule dell'organismo. Un dato che confermerebbe le funzioni benefiche della vitamina D per la salute di altri tessuti dell'organismo. Un livello adeguato di questa sostanza sarebbe alla base, ad esempio, della diminuzione del rischio d'incidenza di malattie del sistema cardiocircolatorio, di ictus, ma anche della demenza senile. E ancora: recettori di questo ormone sono presenti pure nei cosiddetti Linfociti-T, le cellule deputate a favorire la risposta immunitaria dell'organismo. Ed e'stata notata una significativa carenza di vitamina D nelle persone con diabete di tipo 2 (quello acquisito) e, soprattutto, negli obesi. Anche per questo sono gli Usa, il Paese-simbolo del problema dell'obesita', ad avere il maggior interesse a comprendere fino a che punto questa vitamina puo' incidere sulla prevenzione di tali problemi. La gran parte delle ricerche, infatti, proviene proprio dagli Stati Uniti, cheattraverso l'Nih investono ogni anno ingenti fondi in questo settore. Inoltre, gli Usa, un Paese di 250 milioni di abitanti tutti con una spiccata attenzione per l'igiene e la corretta alimentazione, hanno visto crescere negli ultimi 6 anni il mercato dei prodotti a base di vitamina D da 50 a 600 milioni di dollari. Una situazione che, come hanno sottolineato gli esperti presenti al Campus Bio-Medico, impone controlli sempre piu' frequenti e capillari delle agenzie nazionali e sovranazionali deputate alla verifica della qualita' di farmaci e alimenti.
In attesa dei risultati degli esperimenti clinici, quindi, nel corso della conferenza e' stata piu' volte sottolineata l'esigenza di approfondire anche a livello di biologia molecolare il come e il perche' la vitamina D sarebbe utile per la prevenzione di molte patologie. Il prossimo passo della scienza nell'ambito di questa molecola, come del resto gia' avvenuto per altre sostanze disponibili in natura, sara' infatti quello di moltiplicarne in laboratorio gli effetti positivi, eliminando allo stesso tempo i rischi di danno che dosi molto elevate hannofatto riscontrare sul fegato e, paradossalmente, pure nella densita' ossea. Per poterne offrire in tempi rapidi alla popolazione mondiale un apporto sempre piu' adeguato e 'mirato'. (Wel/ Dire)