"FARE CHIAREZZA SU QUALI SIANO GLI INTERVENTI EFFICACI".
(DIRE - Notiziario salute) Roma, 4 ott. - "Come far raggiungere al soggetto autistico il livello piu' alto possibile di autonomia, questo e' il problema di base che deve porsi la bioetica della cura". Cosi' Marianna Gensabella, componente del Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb), al convegno sull'autismo promosso oggi, dall'esponente dell'Udc Paola Binetti, a Palazzo Marini.
Per il professore esistono due aspetti della bioetica, uno che si focalizza sui "principi, pone aut aut ed effettua una valutazione rischi-benefici", l'altro invece che si potrebbe definire "una bioetica dell'attenzione, dell'esperienza e dell'impegno sociale che affronta l'autismo collocandosi in un approccio bio-psicosociale. Prende in considerazione la qualita' della vita e i bisogni della persona per farsi carico non solo del soggetto con autismo ma anche di chi se ne prende cura. Si interroga su cosa la societa' deve fare per far raggiungere alla persona autistica il massimo livello di autonomia. Una bioetica della cura che parte dall'esperienza e da dove i principi trovano realizzazione".
Secondo il componente del Cnb, per migliorare la condizione di vita dei soggetti autistici o coinvolti nello spettro dell'autismo esistono "diversi interventi, ma bisogna fare chiarezza su quali siano quelli efficaci. La sindrome autistica e' varia ed e' difficile trovare l'intervento giusto- ha precisato- diventa quindi cruciale informare i genitori". La diagnosi "e' l'elemento che sta a cavallo tra i due tipi di bioetica. L'importanza di fare, avere e ottenere una diagnosi esatta e precoce e' cruciale. Purtroppo- ha aggiunto Gensabella- questa precocita' e' difficile da raggiungere a causa di una carente formazione dei pediatri e informazione nei genitori e negli educatori".
Bisognerebbe organizzare "campagne di informazione per il grande pubblico e non solo per coloro che sono strettamente coinvolti nel disturbo. Se tutte le famiglie- ha spiegato- avessero le informazioni di base e se i pediatri fossero formati a riconoscere l'autismo forse i bambini arriverebbero prima ad una diagnosi esatta e di conseguenza ad una terapia". Pero' Gensabella ha voluto specificare che "con la diagnosi dovrebbe svilupparsi anche un dialogo informato che renda i genitori subito partecipi, affinche' questo momento di valutazione diventi l'inizio di un progetto terapeutico che altrimenti sarebbe una genesi disperata". Gli asili nido in particolare e poi la scuola dell'infanzia dovrebbero "sviluppare corsi di formazione per educatori e far diventare la diagnosi precoce un punto di forza". Continuando a parlare di scuola, Gensabella ha poi puntualizzato: "Nel nostro Paese e' prevista l'integrazione scolastica delle persone con autismo, pero' esistono ancora molti aspetti che vanno migliorati. Manca l'integrazione sociale, mancano le ore di sostegno e la formazione degli insegnanti di sostegno e soprattutto manca una formazione alla cultura della disabilita' di tutti gli insegnanti".
Le aree da migliorare sembrano tante. "In Italia- ha chiarito la referente per studenti disabili dell'Universita' degli studi di Messina- per quando riguarda l'assistenza medica, ci troviamo in una situazione a macchia di leopardo con regioni completamente scoperte e questo non consente a tutti di avere gli stessi diritti in termini di accesso alle cure. Occorre una medicina che operi su tutto il territorio nazionale anche attraverso una rete di associazioni che funzioni". Ultimo punto affrontato e' "il buco nero dell'eta' adulta, della cura della persona con autismo dopo l'adolescenza. Le possibilita' di inserimento nel lavoro sono marginali, non hanno piu' rapporto con la scuola, ne' con il centro di neuropsichiatria infantile e non hanno nemmeno piu' una diagnosi. In genere- ha concluso- questi soggetti sono soli con i loro genitori e vengono emarginati".
(Wel/ Dire)