(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 24 nov. - "C'e' un filo di
tessuto colorato che unisce i fondi della Cassa del Mezzogiorno,
la bella spiaggia di Praia a Mare, una nobile famiglia torinese,
i Marzotto, svariate forme di cancro e 50 anni di storia del
nostro Paese.
Quel filo ha ucciso un sacco di gente, e il suo colore e' un
veleno incrostato nella terra di Calabria". Valeria Coiante,
conduttrice del programma "Crash", in onda su Rai3, squarcia il
velo del silenzio calato per 40 anni sulla torbida vicenda dello
stabilimento Marlane-Marzotto, a Praia a Mare, con uno speciale
che ripercorre anni di morti sul lavoro, ricatti e veleni. Fatti
poco noti, che svelano una delle pagine piu' tristi della storia
dell'industrializzazione meridionale, ripercorsa da un processo
che da mesi stenta a partire.
Tra gli imputati spiccano nomi eccellenti. Quello del Conte
Pietro Marzotto, in quanto il gruppo Marzotto e' l'ultimo
proprietario dello stabilimento, e quello dell'attuale sindaco di
Praia a Mare, Carlo Lomonaco, a suo tempo responsabile del
reparto "tintoria" della fabbrica. Misure di protezione
inesistenti, negligenze, mancanza di sicurezza, sindacati che, in
cambio dell'indotto aziendale, fingevano di non vedere. Questa
era la Marlane, secondo quanto emerge dalle testimonianze dei
sopravvissuti. "Quando tossivano, il fazzoletto era nero. E quel
fumo che respiravano, lo chiamavano "nebbia in Val Padana",
testimoniano le vedove degli operai, che vivono nel cuore della
citta' in quelle che un tempo erano le case aziendali. Oggi,
invece, le chiamano "le case delle vedove", un dedalo di edifici
e villette in cui vivono in gran parte vedove o operai ammalatisi
tra le mura dello stabilimento.
Ma quella della Marlane e' anche una storia di ricatti. Silenzi
in cambio di posti di lavoro tra le mura del Comune di Praia,
come testimonia Rosa Battipaglia. "Se non fossi stata zitta
nessuno dei miei figli sarebbe stato assunto, in nessuna
fabbrica", racconta la vedova di Aurelio Greco, uno dei primi
operai ad aver lavorato tra le mura dello stabilimento. Lei che
si era scandalizzata al racconto della firma di licenziamento,
estorta al marito, sul letto di morte, non ha mai potuto parlare.
Fino a oggi. E non mancano testimonianze sulle quali la
magistratura dovra' fare chiarezza. Quella di Antonio Greco,
figlio di Aurelio Greco, ex operaio Marlane. E quella di Anna
Salvadori, figlia di Giuseppe Salvadori, anche lui morto dopo
aver lavorato tra le mura della fabbrica dei veleni.
Testimonianze che raccontano di alcuni impiegati della Marlane. A
volte erano in due, altre in tre. Arrivavano puntualmente, a
poche ore dal decesso dell'operaio e, sebbene fosse in fin di
vita, riuscivano a fargli firmare una lettera di licenziamento. O
di prepensionamento. Recidendo, prima del decesso, qualsiasi
rapporto tra l'operaio e la fabbrica. Oggi sara' un processo in
piena regola a fare chiarezza sui fatti testimoniati dai
familiari delle vittime e dagli operai ammalati. Ma il rischio
prescrizione e' dietro l'angolo.
(Wel/ Dire)