NORME SULLA LIS ATTESE A MONTECITORIO MA NON TUTTI SONO D'ACCORDO
(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 9 mag. - Se ne discute da anni,
ma il riconoscimento della Lingua dei segni continua a dividere,
anche nel mondo delle associazioni delle persone con disabilita'
e dei loro familiari: il disegno di legge approvato
all'unanimita' nel marzo scorso dal Senato e' ora atteso sui
banchi della Camera dei deputati, per quella che potrebbe essere
l'approvazione definitiva di un provvedimento dalla vita
parlamentare alquanto tortuosa. Eppure, il via libera ad un testo
di legge derivato dall'unione delle varie proposte accumulatesi
nel corso delle legislature, continua a non soddisfare tutto.
L'ultimo in ordine di tempo e' il Comitato nazionale "Genitori
familiari disabili uditivi" che, qualche giorno fa in una nota si
interrogava sulla necessita' di un riconoscimento definito
"anacronistico e discriminatorio", chiedendo peraltro di essere
ascoltato in audizione alla Camera.
Secondo il Comitato, il riconoscimento della Lis porterebbe con
se' anche quello dei sordi come minoranza linguistica e come
persone che non parlano, se non a gesti. Il rifiuto dunque e' per
una scelta definita "ideologica", "autoreferenziale e
autoescludente" e "quindi causa di emarginazione sociale".
"I disabili uditivi - spiega il Comitato - non si sentono
affatto appartenenti ad una minoranza linguistica, non usano i
gesti per comunicare, perche' negli ultimi decenni in Italia sono
stati organizzati ottimi e innovativi servizi che forniscono
gratuitamente a tutti la diagnosi precoce, la protesizzazione o
l'impianto cocleare, la logopedia, gli ausili tecnologici, per
mettere in grado i disabili uditivi di recuperare l'udito
funzionale per poter parlare e comunicare nella lingua italiana
orale". "Gli audiologi italiani, medici specialisti della
sordita' - continua la nota - sono a fianco dei genitori e dei
disabili uditivi per difendere insieme un diritto di liberta': la
liberta' di sentire e di parlare, la liberta' di essere autonomi
non dovendo dipendere da interpreti gestuali o assistenti alla
comunicazione, la liberta' di essere italiani a pieno titolo e di
non essere identificati come una comunita' linguistica basata su
una disabilita'".
A rispondere a queste perplessita' l'Ens (Ente nazionale sordi),
che invece sostiene con forza l'approvazione della proposta di
legge. Precisando di non essere a conoscenza dell'esistenza del
Comitato, e dicendosi disponibile all'avvio di un dialogo comune,
la presidente Ida Collu ipotizza che le paure esposte possano
essere dovute a "fonti di informazione errate o travisate", o a
"qualcuna delle precedenti revisioni dei testi" e ricorda che "la
Lis esiste, e' utilizzata da gran parte della popolazione sorda e
da un numero crescente di persone udenti, in primis dai
familiari: riconoscerla formalmente non dara' a una lingua il
potere di creare minoranze, cittadini italiani "non a pieno
titolo", ghetti, enclave o altre segmentazioni, ma
un'opportunita' di veder riconosciuto e regolamentato un diritto
sancito dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con
disabilita', ratificata dall'Italia il 3 marzo 2009 con legge n.
18".
L'Ens elenca numerose normative europee e nazionali, ad iniziare
dalla Convenzione Onu che, all'art. 21, "impegna gli Stati membri
a riconoscere le Lingue dei Segni nei rispettivi Paesi", e dalla
Dichiarazione sulla Lingua dei segni varata dal Parlamento
Europeo il 19 novembre 2010. Altri esempi che rimandano ad un uso
reale e quotidiano della Lis sono le norme del contratto di
servizio Rai che "prevede il Tg Lis su tutte le reti
generaliste", cosi' come la legge 104/92 che "prevede la figura
dell'assistente alla comunicazione a scuola e dell'interprete Lis
all'Universita'". Il riconoscimento - spiega ancora la presidente
dell'Ens - "consentira' di standardizzare, migliorare,
controllare i criteri formativi degli operatori che gia' lavorano
nelle scuole, nei tribunali, nelle universita': la legislazione
attuale gia' prevede l'uso della Lis; non riconoscerla significa
soltanto evitare di regolamentarla e lasciare che i servizi
vengano erogati da interpeti o assistenti alla comunicazione di
cui nessuno ha testato la preparazione, fuoriusciti da corsi di
formazione disomogenei per durata, natura, obiettivi senza un
profilo professionale ed un percorso formativo standardizzato ed
in grado di garantire livelli di qualita' elevati ed omogenei".
(Wel/ Dire)