(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 18 lug. - Chimica nei tessuti,
diritti dei lavoratori negati, poco rispetto per l'ambiente. E'
quanto e' emerso da un'indagine di Altroconsumo nelle 11
fabbriche delle maggiori marche di Cina, Pakistan, Marocco,
Turchia e Italia. Sei su undici hanno aperto le porte delle
proprie azinede e consentito ispezioni e analisi di laboratorio
sui capi per verificare l'eventuale presenza di residui chimici e
allergizzanti. "Il settore non splende in salubrita'. -
sottolinea l'indagine - Il ciclo del denim pretende consumi
d'acqua altissimi e impone trattamenti chimici sull'intero
processo di produzione, dalla coltivazione del cotone, alla
filatura, tessitura, tintura e manifattura del jeans".
Altro consumo sottolinea le conseguenze della tecnica della
sabbiatura (sandblasting) checonferisce al jeans l'effetto usato:
"E' letale se non realizzata con le protezioni necessarie per
evitare di inalare silice, strumenti inesistenti nelle fabbriche
della produzione del sommerso. Si calcola che in Turchia, sino a
quando non e' stata bandita come tecnica, nel 2009, a partire dal
2005 abbia prodotto oltre 5000 morti per silicosi. Purtroppo la
produzione e' stata dislocata su territori meno esigenti sul
rispetto della salute degli operai e sottoposti a controlli
saltuari: Cina, India, Bangladesh, Pakistan e in parte del Nord
Africa".
La maggior parte delle aziende visitate da Altroconsumo (60%) ha
dichiarato di aver abbandonato la tecnica. Tra tutte l'unica che
adottasse la sabbiatura, pur con attrezzature protettive, e'
stata proprio quella in Italia, spiega il rapporto: "L'azienda ha
dichiarato di aver abbandonato il sandblasting subito dopo la
nostra ispezione. E' un fatto: succede che nei Paesi occidentali
i controlli si affievoliscano perche' si da' per scontato il
rispetto delle regole". Nel complesso sono risultate piu' attente
le catene di abbigliamento low cost "che garantiscono a prezzi
contenuti una maggiore responsabilita' sociale".
(Wel/ Dire)