LA SUA MALATTIA PREVEDE UN PERIODO DI COMPORTO DI 18 MESI.
(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 27 gen. - Licenziata perche' ha
superato di un giorno il periodo massimo di malattia, che e' di
180 giorni. Ma la sua malattia era la tubercolosi, che prevede un
periodo di comporto di 18 mesi. E adesso una giovane di 24 anni,
ex commessa in un supermercato, chiede al giudice del lavoro,
Giulia Di Marco, di condannare l'ex datore a risarcirle 74mila
euro per i danni subiti. Attraverso i suoi legali, gli avvocati
Monia Ferrari e Massimiliano Corbari, la giovane ha deciso di
promuovere una causa contro l'ex datore (l'atto sta per essere
depositato) dopo che all'Ispettorato del lavoro e' andato a vuoto
il tentativo, obbligatorio, di conciliazione, ½perche' la
controparte non si e' presentata».
Aveva 20 anni, quando nel 2004 la giovane fu assunta come
commessa in un supermercato situato in provincia. ½Il 3 settembre
del 2008 la nostra assistita si e' ammalata. Inizialmente si
pensava a una patologia polmonare, poi e' arrivato il responso
dell'Ufficio di igiene e dell'ospedale Maggiore: tubercolosi. La
giovane si e' curata a casa, seguita dall'ospedale ù hanno
spiegato i legali ù,fino all'11 marzo del 2009. Ma al 181esimo
giorno di malattia e' stata licenziata per il superamento del
periodo di comporto. Noi contestiamo anche il conteggio, perche'
per arrivare a 181 giorni, hanno inserito anche i due giorni (il
9 e il 10 maggio del 2008), in cui la nostra assistita era
rimasta a casa per l'influenza». I difensori, poi, si rifanno
all'articolo 175 del contratto collettivo nazionale di lavoro: ½I
lavoratori affetti da tubercolosi, che siano ricoverato in
istituti sanitari o case di cura a carico dell'assicurazione
obbligatoria TBC o dello Stato, delle Provincie e dei Comuni, o a
proprie spese, hanno diritto alla conservazione del posto fino a
18 mesi dalla data di sospensione del lavoro a causa della
malattia tubercolare». Nel caso della giovane lavoratrice,
tuttavia, non c'e' stato ricovero: la ragazza ha seguito la
terapia a casa. ½Ma cio' non e' rilevante ù evidenziano i legali
-. Abbiamo parlato con il primario di Pneumologia dell'ospedale
Maggiore, il quale ci ha spiegato che il ricovero e' necessario
solo in caso di contagio, mentre nel caso della nostra assistita
tale rischio non c'era e dunque poteva seguire la terapia, che e'
la medesima, a casa».
(Wel/ Dire)