(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 7 apr. - Ci sono storie sociali
difficili da raccontare: quella della Pasta di Capazzaia non e'
una di quelle. Anzi, a ripercorrere la sua storia, ci si accorge
che, parafrasando Franco Basaglia, "si puo' fare". Si puo' fare
un laboratorio sociale produttivo con giovani e meno giovani
affetti da disabilita' psichiche e mentali. Si puo' fare
un'impresa sociale che rende produttive risorse umane considerate
"residuali" dal mercato del lavoro. Si puo' fare pasta all'uovo,
confezionarla e metterla in vendita. Si puo' fare un accordo con
Unicoop Tirreno per mettere il consumatore di tutti i 21 punti
vendita Coop del Lazio di fronte alla possibilita' di poter
scegliere, a parita' di costo, tra un prodotto sociale e un
prodotto "altro".
La strana sfida e' stata lanciata nel 2008 dalla Comunita' di
Capodarco di Roma che, nella volonta' di unire bonta' e
integrazione sociale e lavorativa, ha messo in piedi un vero e
proprio laboratorio di produzione di pasta fresca all'uovo.
Fettuccine, cannelloni, ravioli e gnocchi impegnano, nella loro
produzione, oltre 70 persone con disabilita' psichica e mentale
di eta' compresa tra i 20 e i 50 anni. Nello stabile di Pomezia,
dall'impasto alla conservazione del prodotto, si rinnova dunque
l'impegno della Comunita' di Capodarco di Roma nell'integrazione
sociale e lavorativa delle persone disabili. Un impegno ormai
quasi quarantennale, oggi riconosciuto anche da Unicoop Tirreno
che oltre a mettere a disposizione la sua rete di punti vendita
nel Lazio, ha anche mobilitato i suoi soci: sabato 9 aprile essi
daranno vita per la prima volta a un'iniziativa di promozione
della pasta presso i clienti fuori dai supermercati, distribuendo
un depliant sulla Pasta di Capezzaia.
Tutto ebbe infatti inizio da un finanziamento pubblico,
rafforzato poi da un vero e proprio bando, a cui si aggiunse la
forza dei soci Coop che, credendo nel progetto, raccolsero fino a
160mila euro. Nessuno, infatti, oltre loro, poteva credere che un
laboratorio sociale riservato a persone con disagio psichico
potesse invece diventare un'impresa sociale vera e propria.
Ovvero, un progetto imprenditoriale con una dimensione
etico-sociale, dove il profitto ha sempre avuto un senso, ma solo
se inteso a privilegiare innanzitutto la persona. Significativa
infine la scelta del nome: Capezzaia indica il margine
inutilizzato del campo, la parte incolta del terreno: lo specchio
di quella parte di societa' che non si vede, che si nasconde, che
spesso e' emarginata.
(Wel/ Dire)