(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 28 mag. - Sofferenze sopportate
a lungo dai cittadini, anche per mesi o anni, nella convinzione
che "il dolore va accettato perche' fa parte della vita", e
"talvolta sottovalutato dai medici che hanno poco tempo a
disposizione per ascoltare i pazienti", e ben curato solo nei
centri specializzati, ancora pochi e poco conosciuti, garantiti
dal Servizio sanitario nazionale. E' il quadro che emerge da 'Non
siamo nati per soffrire. Dolore cronico e percorsi
assistenziali', indagine di Cittadinanzattiva-Tribunale per i
diritti del malato, presentata al Senato, alla vigilia della IX
Giornata nazionale del sollievo (30 maggio). La ricerca mostra
che "il primo livello sul quale occorre intervenire e' quello
dell'approccio culturale e della informazione sul problema del
dolore cronico non oncologico".
L'indagine e' stata realizzata attraverso 418 questionari
rivolti a pazienti in cura presso i Centri di terapia del dolore,
pazienti affetti da patologia cronica e medici di famiglia. Lo
studio, spiegano i realizzatori, nasce da un tavolo di lavoro in
collaborazione con Pfizer, al quale hanno partecipato
rappresentanti di Aic (Associazione italiana per la lotta contro
le cefalee), Anmar (Associazione nazionale malattie reumatiche),
Associazione pazienti con Bpco (broncopneumopatia cronica
ostruttiva), Parkinson Italia, Fand (Associazione italiana
diabetici), FederDolore, Fimmg (Federazione italiana medici di
medicina generale), Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia
muscolare).
"Sebbene una legge importante da poco approvata sulle cure
palliative e la terapia del dolore (legge n.38 del 15 marzo 2010)
faccia ben sperare, a vincere e' la scarsa informazione e un
approccio culturale inadeguato nella cura del dolore cronico non
oncologico", spiega Giuseppe Scaramuzza, vicepresidente di
Cittadinanzattiva. "Il nostro impegno- aggiunge- in coincidenza
con i trent'anni del nostro Tribunale per i diritti del malato,
sara' di valutare l'applicazione della legge ed informare i
cittadini che non soffrire e' un loro diritto".
A proposito di cittadini: numeri alla mano, "un cittadino su
tre attende lunghi periodi, mesi o anche anni, prima di
consultare un medico rispetto al suo dolore". Questo "viene
sopportato o sottovalutato dal paziente in quasi un terzo dei
casi (29%) oppure curato attraverso antidolorifici (23%)".
Ancora, oltre la meta' dei pazienti (53%) deve consultare tra 2 e
5 medici prima di giungere ad un Centro specializzato per la cura
del dolore, e in questo girovagare passano mesi (per il 34% degli
intervistati) o addirittura anni (27%). Nel frattempo il 37%
ricorre alla medicina alternativa: in ordine di frequenza,
massaggi (34%), agopuntura (20%), omeopatia (15%), chiropratica
(11%), osteopatia (8%). Il rapporto con il medico di famiglia e'
riconosciuto come "centrale" nel percorso per la gestione del
dolore: il 35% dei cittadini dichiara di rivolgersi in prima
istanza ad esso per identificare il problema.
Dal rapporto emerge poi "il ruolo fondamentale" degli specialisti
ai quali comunque il cittadino si rivolge in una percentuale
"importante". Tuttavia la mancanza di tempo nelle visite presso
il medico di famiglia e' segnalato come problematico sia da parte
dei cittadini che da parte dei medici: per oltre un cittadino su
tre (37%) il consulto non dura piu' di 5 minuti e per un altro
20% non va oltre i 10 minuti. Anche la grande maggioranza dei
medici (63%) segnala come problematica la mancanza di tempo.
Quanto alla classe medica, "la quasi totalita'" dei medici
(95%) dichiara di prescrivere farmaci oppiacei, di ritenerli
efficaci (98%) e di informare sulle controindicazioni degli
stessi (97%). Le dichiarazioni dei pazienti in cura mostrano,
pero', delle disparita' regionali nella prescrizione degli
oppioidi: al nord la percentuale di coloro che dichiara di averli
ricevuti e' del 52%, al centro e' del 42%, al sud solo del 25%.
"Assai scarsa" anche l'informazione sui Centri di terapia del
dolore esistenti: l'80% dei medici non segnala ai cittadini
l'esistenza di tali centri che risultano sconosciuti al 75% dei
pazienti con dolore cronico. D'altra parte, nel 53% delle Asl non
esiste un sistema informativo sull'esistenza di tali servizi.
Quando il cittadino riesce ad accedervi, mostra una sostanziale
soddisfazione per la cura ottenuta presso il Centro
specializzato: l'86% valuta positivamente la gestione del dolore
ottenuta e la quasi totalita' (94%) ritiene che gli specialisti
del Centro prestino ascolto e comprendano il problema.
Anche i tempi di attesa risultano "accettabili", seppur con
qualche differenza fra le diverse aree del paese: quasi il 50%
attende solo alcuni giorni prima di essere inserito in cura
presso il centro, mentre il 40% degli intervistati ha atteso
qualche settimana ma comunque meno di un mese. Le attese tuttavia
aumentano laddove i cittadini e i medici sono piu' consapevoli
dell'esistenza dei Centri: al nord infatti il 62% dei pazienti
aspetta qualche settimana. Per Cittadinanzattiva "e' evidente che
i Centri per la terapia del dolore non sono ancora diffusi
uniformemente sul territorio ne' in numero sufficiente alle
esigenze dei cittadini". Negativo il giudizio sul supporto
psicologico, del quale usufruisce solo il 23% dei pazienti. Anche
chi e' in cura presso un Centro deve sostenere di tasca propria
alcune spese non indifferenti, a partire dalle visite
specialistiche effettuate privatamente a causa delle lunghe liste
di attesa nel pubblico.
Alcuni dati dell'indagine mostrano poi quanto il dolore "sia
un fattore debilitante ed invalidante e vada ad incidere
pesantemente sul contesto lavorativo e familiare, sia dal punto
di vista economico che delle relazioni". Il 28% dichiara di
provare stanchezza cronica ed insonnia, il 35% di avere
importanti alterazioni dell'umore, il 30% dichiara di aver paura
di provare dolore. Seppur in una percentuale bassa, il 2% ha
dichiarato che il dolore provoca in lui pensieri suicidi. A
livello di status sociale, il 36% vive il senso di abbandono, il
26% la perdita del ruolo in famiglia, il 18% la perdita di
prestigio e guadagno sul lavoro, il 16% la perdita di posizione
sociale.
(Wel/ Dire)