RICERCA. IL GIOVANE 'CERVELLO' RACCONTA: "IO, FRA ITALIA E USA"
L'ESPERIENZA DI MASSIMO RALLI,IMPEGNATO NELLO STUDIO DELL'ACUFENE
(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 9 apr. - Che la ricerca in
campo medico in Italia sia difficile per la mancanza di fondi non
e' certo una novita'. La cosiddetta 'fuga di cervelli' verso
Paesi piu' sensibili o meglio attrezzati e' argomento di scontro
tra la politica e i camici bianchi. Insieme a Massimo Ralli,
otorinolaringoiatra e giovane ricercatore italiano che lavora tra
l'America e l'Italia, abbiamo cercato si esplorare il mondo della
ricerca americana e quella italiana. 'Innanzitutto vorrei
raccontare in breve come e' iniziata la mia esperienza negli
Stati Uniti e come si e' evoluta nel tempo- racconta all'Agenzia
Dire- Ho avuto la possibilita' di frequentare il laboratorio del
professor Richard Salvi presso l'Universita' di New York a
Buffalo, una delle piu' importanti strutture per la ricerca di
base sull'udito, durante la mia specializzazione in
otorinolaringoiatria. Quando mi e' arrivata la proposta, mi e'
subito sembrata un'ottima opportunita' e ho colto l'occasione al
volo. Avevo gia' svolto attivita' di ricerca di base in Italia,
quindi avevo gia' una certa consapevolezza del tipo di lavoro che
sarei andato a svolgere. Insomma, avevo un metro di paragone,
cosa che talvolta manca a chi parte per la prima volta'.
E prosegue: 'La mia esperienza di ricerca negli Stati Uniti e'
senz'altro particolare, in quanto caratterizzata da periodi
passati negli Stati Uniti ed altri, piu' lunghi, in Italia. Dopo
un primo periodo di diversi mesi passato in America, durante il
quale ho gettato le basi del filone di ricerca su cui mi sono
specializzato negli anni a seguire, mi e' stata offerta una
posizione di Adjunct Professor all'universita' di New York,
presso il centro diretto da Salvi. Grazie a cio', ho avuto la
possibilita' di svolgere ricerca sia presso l'Universita'
Cattolica di Roma, dove attualmente mi trovo, sia nel laboratorio
di Buffalo, traendo vantaggio da entrambe le realta' e dando vita
ad una importante collaborazione. Ovviamente, il lavorare in
parallelo in strutture diverse e lontane ha certamente richiesto
dei sacrifici, come i frequenti viaggi, le comunicazioni troppo
spesso via e-mail e senza un reale contatto fisico, gli
esperimenti svolti in parte in Europa ed in parte negli Stati
Uniti'.
Ralli, pero', prima di proseguire nel suo racconto, si
sofferma sull'esperienza umana del ricercatore, che definisce
'piacevole e sorprendente'. 'Il mio primo assaggio di esperienza
Usa- dice- e' avvenuto non appena atterrato all'aeroporto di
Buffalo, quando Salvi stesso mi e' venuto a prendere e mi ha
accompagnato prima a fare un rapido giro del laboratorio, quindi
all'appartamento che avevo affittato, per accertarsi che fosse
tutto a posto, e in ultimo al supermercato per fare i primi
acquisti. Nei giorni successivi lo stesso Salvi in prima persona
mi ha aiutato ad organizzare le pratiche universitarie, ad
affittare un'auto, ad orientarmi nella nuova citta'
accompagnandomi e curandosi personalmente di ogni dettaglio.
Molte sere mi capitava di cenare a casa sua con la sua famiglia,
venendo trattato come uno di casa. Ovviamente, un trattamento
simile veniva riservato anche agli altri ricercatori stranieri
che frequentavano il laboratorio. Un onore cosi' normale per
loro, e cosi' inaspettato per me'. Passando poi alle differenze
tra la ricerca in Italia e negli Stati Uniti, Massimo Ralli ne
mette in evidenza alcune positive e altre negative. 'Una prima
cosa che mi ha colpito,- spiega- e che spesso purtroppo non e'
cosi' accentuata in Italia, e' il rapporto di collaborazione tra
ricercatori. Nel profondo pragmatismo americano, l'obiettivo
finale viene spesso prima del successo del singolo, come
effettivamente dovrebbe essere. Questo rende piu' facili i
rapporti tra le persone, in primis all'interno di uno stesso
laboratorio, ma anche tra diversi dipartimenti o addirittura
universita'. E' molto facile vedere realizzarsi una
collaborazione spontanea e genuina tra gruppi di ricerca quando
lo scopo e' quello di raggiungere un obiettivo unico e condiviso.
Questo aspetto, purtroppo non sempre presente nel nostro Paese,
e' secondo me alla base della ricerca, ma spesso viene
sottovalutato'.
Il ricercatore, poi, pone l'accento su un aspetto: 'Vorrei
menzionare la maggiore mobilita' dei giovani ricercatori negli
Stati Uniti rispetto a quelli nostrani, e quindi la maggiore
dinamicita' degli organici dei laboratori. Durante gli ultimi due
anni, nei quali ho fatto un po' la spola tra Italia e Stati
Uniti- continua- ho visto decine di giovani ricercatori passare
per il laboratorio di Salvi, fermarsi per qualche mese e
ripartire, portando al gruppo nuovi spunti di ricerca e portando
indietro importanti esperienze; credo che questo interscambio di
esperienze rappresenti il dinamismo americano che garantisce
nuovi spunti e nuove idee con cui confrontarsi, nonche' di
mantenere aperti i rapporti con tante istituzioni straniere e di
contribuire alla globalizzazione della ricerca nel mondo. Alla
maggiore mobilita' si associa un forte cameratismo che, favorito
proprio dal dinamismo della ricerca americana, e' necessario
creare tra i componenti di un grande laboratorio. Ricordo con
piacere le cene settimanali di tutto lo staff a casa del
professor Salvi: ottime occasioni per parlare, conoscersi,
diventare amici'. L'esperienza umana positiva, certo, ma i fondi
per la ricerca? 'Tanti, superficialmente, dicono che la ricerca
Usa si fa perche' li ci sono i fondi, e qui no- riprende-. Questo
in parte e' senz'altro vero, credo pero' esista un problema
culturale di base sulla provenienza e sull'amministrazione di
questi fondi che differenzia i due paesi. In America gran parte
della ricerca e' finanziata da fondi privati e semi-privati, che
vengono banditi con notevole frequenza ed assegnati ai
ricercatori che dimostrino, nella loro domanda di partecipazione,
di avere la maggiore esperienza e capacita' per raggiungere gli
obiettivi preposti; sono proprio queste forme di finanziamento
che danno una chiave di, chiamiamola, precarieta' alla vita dei
ricercatori statunitensi. Tipicamente, la maggior parte di
posizioni universitarie dei ricercatori negli Stati Uniti non
sono a tempo indeterminato, ma legate proprio a questi
finanziamenti, di durata media di 2-3 anni. Questo significa che
il ricercatore promettente ed attivo vincera' maggiori bandi ed
otterra' quindi maggiori finanziamenti, spesso significativi, per
svolgere un progetto, dovendosi concentrare esclusivamente sulla
ricerca mirando all'obiettivo finale'.
E una volta esaurito il finanziamento? 'E' compito del
ricercatore trovare un altra fonte di sostentamento per un nuovo
progetto- spiega Ralli- non essendo, nella maggior parte dei
casi, un dipendente a stipendio fisso dall'universita' presso la
quale ha svolto il progetto finanziato'. Questo approccio,
secondo il giovane otorino, 'probabilmente per retaggio
culturale, e' accettato serenamente negli dai ricercatori negli
Stati Uniti, mentre sembra non piacere al lavoratore italiano,
perche' potrebbe costringere a cambiare citta', universita' o
linea di ricerca'. Per Massimo Ralli, pero', l'impegno e la
costanza nel lavoro ha prodotto i suoi frutti. La Politzer
Society, una delle piu' importanti societa' internazionali di
otorinolaringoiatria, ha riconosciuto l'importanza della sua
linea di ricerca, attribuendogli il primo premio per la ricerca
di base durante il suo 27esimo congresso, tenutosi a Londra lo
scorso settembre. 'La ricerca che sto svolgendo tra Italia e
Stati Uniti- spiega- e' incentrata sui meccanismi di base
dell'insorgenza e della cronicizzazione dell'acufene, piu'
comunemente il 'fischio nell'orecchio'. Questa condizione
affligge decine di milioni di individui negli Stati Uniti e
comporta gravi ripercussioni sulla vita professionale e privata
di chi ne e' affetto, fino a casi di grave depressione ed
addirittura suicidio. Chi soffre di acufene avverte un continuo
rumore, che puo' essere nei casi piu' comuni quello di un fischio
o di una cascata, senza la possibilita' di 'mandarlo via'. Seppur
molto diffuso ed ultimamente oggetto di sempre maggiore interesse
da parte della comunita' scientifica e dell'opinione pubblica, si
sa ancora poco sui meccanismi alla base della sua insorgenza e
cronicizzazione. Le attuali linee di ricerca si dividono tra
ricerca sull'animale, dove e' possibile studiare i meccanismi
molecolari che si instaurano nell'orecchio e nel sistema nervoso
centrale in seguito all'insorgenza dell'acufene, e nell'uomo,
dove si possono tentare approcci terapeutici per curarlo o,
almeno, attenuarlo. La ricerca su cui mi sono concentrato con i
colleghi di Buffalo e' quella di base, attraverso la quale si
scoprono preziose informazioni in grado di guidare la ricerca
clinica. In particolare, ci siamo concentrati sullo sviluppo di
un modello oggettivo per individuare la presenza, l'intensita' e
le caratteristiche dell'acufene nell'animale. Grazie a questo
modello, basato su un riflesso, e' possibile indurre l'acufene
nell'animale da esperimento, quantificarlo e misurare le
capacita' di numerosi farmaci di attenuarlo od eliminarlo. Da
alcuni studi preliminari svolti inducendo l'acufene con
salicilato o chinino (due farmaci in grado di indurre un acufene
transitorio), siamo riusciti a quantificarne l'intensita' e la
frequenze specifica (circa 16kHz); abbiamo adesso intenzione di
sperimentare molecole con azione su alcuni recettori
dell'orecchio interno per capire se in grado di inibire o
attenuare l'acufene'.
(Wel/ Dire)
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