(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 12 nov. - L'Italia investe meno degli altri paesi europei per la sanita' e la protezione sociale. E in tempi di crisi (con la relativa diminuzione del Pil nazionale), a subire i maggiori danni sono le fasce piu' deboli, specialmente quella degli anziani, visto che il loro potere d'acquisto si e' notevolmente ridotto. E' quanto emerge dal rapporto nazionale 2009 sulle "Condizioni e il pensiero degli anziani", frutto di una collaborazione tra Ageing Society, Federsanita' Anci e l'Inrca, presentato ieri a Roma. La spesa sanitaria. L'Italia si pone al di sotto della media dei Paesi esaminati dall'Ocse (Ocse 8,9% - Italia 8,7%) per percentuale di Pil impegnato nella spesa sanitaria ma, nel nostro Paese, la partecipazione alla spesa da parte dei privati risulta essere ai livelli piu' bassi (Ocse 2,4% - Italia 2%). Va ricordato pero' che il Ssn si finanzia attraverso la tassazione diretta e indiretta dei cittadini. Nei Paesi Ocse, secondo l'ultimo Rapporto "Health Data 2009", pur registrando un quadro di stabilita' o di lievi oscillazioni in piu' e in meno, i tassi di crescita della spesa sanitaria nei 30 Paesi piu' sviluppati del mondo diminuiscono, con una frenata record negli ultimi 10 anni. Nel 2006 la crescita media in termini reali e' stata di appena il 3,1% in piu' rispetto al 2005, il tasso piu' debole dal 1997, mentre la spesa complessiva media si e' stabilizzata sul valore dell'8,9% del Pil: la stessa percentuale del 2005, con il settore pubblico a quota 6,5% del Pil. Nel 2007, il paese nel quale la spesa sanitaria complessiva e' piu' alta sono gli Stati Uniti, con il 16% del Pil: quasi il doppio della media Ocse, pari a circa a 7.290 dollari di spesa all'anno pro capite. L'Italia si colloca al 19esimo posto, sui 30 paesi in esame, con una spesa in cure e medicinali pari a 2.656 dollari procapite. Quindi sotto la media Ocse sia in valori assoluti (2.964 dollari) che in termini di percentuale del prodotto interno lordo. Si e' passati da 74,7 a 88,5 miliardi di euro di spesa sanitaria nel settore pubblico e, per quanto riguarda la spesa corrente, dai 96,1 nel 2001 e da 112,5 miliardi di euro nel 2004 ai 113 miliardi di euro nel 2009. In Italia il 76,4% della spesa sanitaria e' stata finanziata dallo Stato, con un'incidenza superiore rispetto ai Paesi Ocse di quasi 3,5 punti percentuali. La riduzione dei Pil nazionali, che l'Ocse nel giugno del corrente anno valuta mediamente del 4,1% (nel nostro Paese del 5,5%), non potra' che incidere pesantemente sui sistemi socio-sanitari e sulle quote di prodotto interno lordo da questi assorbite. È stato stimato che le spese per la salute provochino un aumento di circa il 10% dei poveri "effettivi". A questi si aggiunga oltre il 4% di famiglie che, malgrado siano titolari "sulla carta" di una copertura globale dei propri bisogni sanitari, sostengono direttamente una spesa per assistenza sanitaria che supera la soglia di riferimento proposta dall'Oms, ovvero il 40% della loro capacita' di pagare. In termini assoluti il fenomeno e' ragguardevole, essendo coinvolti complessivamente almeno 1.200.000 nuclei familiari. È preoccupante il fatto che circa il 15% delle famiglie italiane con un anziano abbia dichiarato di non aver avuto danaro sufficiente per le spese mediche e che una famiglia su tre non riesca a sostenere le spese impreviste. Nel giro di un decennio (1996-2006), segnalava l'Istat, c'e' stato un incremento delle spese sanitarie a carico delle famiglie che sfiora il 35%. È evidente che si tratta di una situazione difficilmente sostenibile per le fasce deboli della popolazione, specialmente per gli anziani, visto che il potere d'acquisto delle pensioni si e' notevolmente ridotto negli ultimi anni. La sostenibilita' della spesa per la protezione sociale. Nel 2006 la spesa sociale complessiva in Italia e' stata pari al 26,6% del Pil, di poco sotto la media dell'Unione Europea, pari al 26,9%. Il nostro Paese investe (unico in Europa) piu' del 60% della spesa nell'area "vecchiaia e superstiti" (contro una media europea del 45,9%, dati 2005). La ragione di tale sbilanciamento e' dovuta al fatto che in tale ambito sono contabilizzate le prestazioni pensionistiche, che costituiscono il tradizionale pilastro del welfare italiano, orientato maggiormente ancora oggi verso prestazioni cash. La spesa per tutte le altre funzioni, in termini relativi rispetto al Pil, e' minore: particolarmente contenute risultano essere le spese per la disabilita' (1,5% contro la media Ue di 2,1%), la disoccupazione (0,5% contro 1,6%) e la famiglia (1,1% contro 2,1%). L'analisi svolta nel Rapporto suggerisce due ordini di considerazioni circa il nostro sistema di protezione sociale. In primo luogo si evidenzia come il percorso di riforma delle pensioni abbia iniziato a fornire primi risultati positivi per quanto concerne il contenimento della spesa e la riduzione delle disuguaglianze di trattamento pensionistico tra le diverse tipologie di lavoratori. Su tale fronte, per garantire la sostenibilita' del sistema e' auspicata un'ulteriore espansione della previdenza complementare e integrativa oltre che un generale innalzamento dell'eta' del pensionamento. La seconda considerazione riguarda invece il carattere del welfare italiano nel suo complesso, tuttora eccessivamente orientato verso il risarcimento dei danni (anche la non autosufficienza e', in un certo senso, considerata come tale) che seguono gli eventi avversi piuttosto che la prevenzione e co-gestione degli stessi. Diversamente le riforme avviate in Europa mirano sempre piu' a realizzare politiche di attivazione e di mantenimento del potenziale di salute individuale, attraverso la prevenzione dei rischi e l'assunzione dei rischi piu' alti insostenibili da parte del singolo. Un sistema di welfare capace di diminuire l'esposizione ai fattori di rischio dei soggetti che oggi invecchiano, prevenendo sin dove e' possibile l'insorgere di malattie e disabilita', e' fondamentale affinche' gli anziani di domani possano costituire una vera risorsa per il Paese. (Wel/ Dire)