(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 22 dic. - I medici stranieri iscritti all'Ordine dei medici chirurgi e odontoiatri sono risultati 14.548 nel 2008, di cui il 42,3% donne. Erano 12.527 nel 2004, quindi l'aumento e' stato di 500 unita' l'anno. La ripartizione territoriale e' abbastanza equilibrata: 52,2% nel Nord, 26% nel Centro, 18,3% nel Mezzogiorno e 2,7% in temporanea attivita' all'estero. La maggiore concentrazione avviene in quattro regioni: piu' di 2 mila sia in nel Lazio che in Lombardia (operanti per lo piu' nei comuni di Roma e di Milano) e piu' di 1.200 sia nel Veneto e in Emilia Romagna. Sono questi i dati del Primo Rapporto Emn Italia, European migration network - iniziativa inserita in un programma europeo che in Italia fa capo al ministero dell'Interno con il supporto tecnico del Centro Studi e Ricerche Idos/Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes - dedicato alla direttiva dell'Unione Europea sui lavoratori altamente qualificati, nota come "Carta blu UE".
I medici stranieri, una volta riconosciuto il loro titolo, possono operare solo in forma autonoma, a meno che non abbiano la cittadinanza comunitaria o acquisiscano nel frattempo quella italiana: questi limiti sono generalizzati, nonostante le decisioni piu' aperte adottate da alcuni giudici di merito per la soluzione di singoli casi.
A differenza di quanto avviene per gli infermieri, dei medici stranieri non si sente al momento bisogno salvo in alcuni settori (anestesia, radiodiagnostica e radioterapia), essendo l'Italia, in proporzione alla sua popolazione, il primo Paese al mondo per numero di medici: 354.000, pari a 4 ogni 1.000 cittadini, contro la media mondiale di 3 ogni mille.
La legge 39/1990 ha reso piu' agevole l' iscrizione all'Ordine, previo riconoscimento del titolo conseguito all'estero (e', invece, automatico il riconoscimento della laurea presso una universita' italiana). I Paesi con un maggior numero di medici operanti in Italia sono: Germania (1.276), Svizzera (869), Grecia (851), Iran (752), Francia (686), Venezuela (626), Usa (618), Argentina (564), Romania (555) e Albania (451). La ripartizione per continenti vede l'Europa totalizzare quasi la meta' del totale, l'America e l'Asia circa un quinto ciascuna e l'Africa il 12%.
La prevalenza degli Stati membri dell'UE a 15, o di Paesi che nel passato furono sbocco della nostra emigrazione o di altri dai quali si originarono diversi decenni fa flussi di richiedenti asilo, lasciano intendere chela forte presenza immigrata, che e' andata radicandosi in Italia dalla seconda meta' degli anni '90, non ha ancora avuto un corrispettivo in termini di iscrizioni al corso di laurea in medicina: sono pochi i medici figli di immigrati, cosi' come avviene per gli infermieri.
Va anche ricordato che i medici originari di diversi Paesi dell'Est, considerato l'esubero esistente in Italia e l'impossibilita' di inserirsi nelle strutture pubbliche, preferiscono altri paesi comunitari, piu' bisognosi del loro apporto e piu' soddisfacenti dal punto di vista normativo e retributivo. Inoltre, sono andati diminuendo quelli che vengono a studiare medicina in Italia a causa del numero chiuso previsto per le iscrizioni e dell'alto costo della vita per mantenersi agli studi, mentre continuano a essere ridotte le possibilita' di ottenere una borsa di studio. Attualmente sono poco meno di 500 gli studenti stranieri (inclusi quelli che vengono direttamente dall'estero) e neppure 400 i nuovi immatricolati.
La situazione attuale di sufficiente disponibilita' non e' destinata a perdurare e nel futuro si determinera' una forte carenza di medici in diversi settori, come gia' avviene in anestesia e radiologia. Secondo l'Ordine dei medici, se le possibilita' di iscrizioni annuali alla facolta' di medicina continueranno a esser 6.200 come nell'ultimo ventennio, nel 2029 i medici diminuiranno a 280.000 (74 mila in meno nel corso di due decenni) e la loro eta' media salira' a 54 anni.
Secondo il rapporto bisogna iniziare a farsi carico dei limiti derivanti dalla vigente normativa. I medici stranieri attualmente operanti in Italia non possono operare presso il Servizio sanitario nazionale, non essendo prevista l'assunzione di cittadini stranieri presso strutture pubbliche. Diversi di essi sono lo stesso impegnati presso gli ospedali pubblici, specialmente nei reparti di pronto soccorso, ma solo come liberi professionisti retribuiti come collaboratori occasionali. Questa formula contrattuale e' anche quella piu' ricorrente presso gli ospedali privati, che peraltro sono autorizzati ad assumerli con contratto a tempo indeterminato. Come si vede, di diritto o di fatto, la cittadinanza costituisce un ostacolo e in prospettiva sono necessari opportuni rimedi.
(Wel/ Dire)