Lo denuncia psicologo Pascanella. "Molti affidi? Meglio famiglia"
Roma, 8 ott. - "Il rischio adesso e' quello di avere bambini che dovrebbero essere allontanati ma che continuano a vivere in una situazione di pregiudizio", cioe' in una situazione in cui i genitori vengono a meno ai loro doveri. A parlare degli effetti collaterali del caso Bibbiano e' lo psicologo Carmine Pascarella, gia' coordinatore per gli affidi e le adozioni del servizio di Neuropsichiatria infantile dell'Ausl di Reggio Emilia, ascoltato in commissione d'inchiesta regionale sugli affidi in val d'Enza. Pascarella ha puntato anche il dito sulle criticita' nel sistema, spiegando che "in Italia il 57%degli affidi diventano sine die, senza rientro nella famiglia d'origine". Ha quindi lamentato l'insufficienza di risorse per i servizi e ha rilevato la necessita' di ridurre le esternalizzazioni.
E' stata ascoltata durante la stessa seduta anche Daniela Scrittore, funzionaria del Comune di Reggio Emilia per le politiche familiari. Sollecitata dai consiglieri a esprimersi sul caso Val d'Enza, ha commentato i numeri degli affidi nella provincia di Reggio Emilia: "Non si tratta assolutamente di numeri 'anomali'- ha detto- ma sono numeri 'compositi', nel senso che comprendono sia gli affidi consensuali che giudiziali, a tempo pieno e a tempo parziale". Parliamo, infatti, per il 2017, di 133 casi di affidi a tempo parziale consensuale, 13 di tempo parziale giudiziale, 26 di tempo pieno consensuale e 180 di tempo pieno giudiziale. "Se qui ci sono piu' affidi e' perche' li preferiamo agli inserimenti in comunita', pensiamo che la famiglia sia sempre una soluzione migliore per i bambini".
Parlando del Centro La Cura e del ricorso alle consulenze dell'Associazione Hansel e Gretel, Scrittore ha poi denunciato carenza di spazi e di risorse: "Perche' i Comuni ricorrono a centri privati? Perche' il servizio pubblico in ambito sanitario purtroppo spesso non e' sufficiente e non sempre riesce a garantire la cura. Non abbiamo luoghi adatti per fare colloqui e accogliere gli utenti. È come dire alle famiglie: 'Ti ho fatto una buona diagnosi, ma ora non posso metterti a disposizione il trattamento'".
(Rac/ Dire)