Violenza donne, rapporto Osce Paesi Sud-Est Europa: 31% vittime
Dati in linea con Ue, ma solo 0,2-0,4% si rivolge a centri
Roma, 14 mag. - Sono in linea con la media dei Paesi Ue i dati sulla violenza contro le donne di sette Paesi del sud-est europeo, sia in conflitto che in pace (Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro, nord Macedonia, Serbia, Moldova, Ucraina) piu' il Kosovo, contenuti nel rapporto Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) 'Benessere e sicurezza delle donne', presentato il 6 e 7 maggio a Vienna e illustrato alla Dire da Simona Lanzoni, vicepresidente di fondazione Pangea Onlus e seconda vicepresidente del Grevio.
Il 31% delle 15.179 donne tra i 18 e i 74 anni, intervistate per lo studio nel 2018, ha vissuto una forma di violenza fisica o sessuale, una percentuale molto vicina alla media europea del 33%; il 10% l'ha subita negli ultimi 12 mesi dall'intervista. Il 60% ha, invece, sperimentato varie forme di violenza psicologica nelle relazioni intime (in Ue il 43%), in cui e' compreso: un 19% di violenza economica; un 48% di comportamenti controllanti; un 43% di comportamenti abusanti; un 7% di uso dei figli come minaccia per la donna.
Pochissime donne sanno cosa fare quando subiscono violenza, una percentuale tra il 60 e 70% non sa come agire. Tra i principali referenti contattati in prima battuta risultano, in ordine: la polizia, gli ospedali, il sistema dei medici generici, gli avvocati e i servizi sociali, mentre i centri antiviolenza sono presi in considerazione in prima istanza solo dallo 0,2-0,4% del campione, addirittura dopo i centri religiosi.
"Questo capita perche' c'e' poca informazione su cosa le donne possono trovare nei centri, accompagnata da una generale sfiducia nei confronti delle istituzioni- commenta alla Dire Lanzoni- Le donne hanno paura che il sistema di presa in carico istituzionale sia inefficace. Si tratta di un punto fondamentale su cui lavorare", osserva e sottolinea: "Anche in Italia solo il 2-4% di donne si rivolge ai centri".
"Il 70% del campione di intervistate- continua Lanzoni- hanno iniziato a ricevere violenza attorno ai 15 anni - per una stima complessiva di circa 16 milioni di donne - 7 milioni l'hanno sperimentata in forma fisica o sessuale. Il segmento di eta' piu' esposto e' quello tra i 15 e i 30 anni". Un dato che, secondo la vicepresidente di Pangea, dipende anche dal fatto "che le ragazze sono piu' disposte a parlarne rispetto alle adulte", e che deve spingere ad orientare "un lavoro di educazione sugli stereotipi e sul rispetto reciproco proprio sui giovani uomini e sulle giovani donne".
Le ragazze tra i 15 e i 29 anni sono anche le piu' esposte a situazioni di stalking e molestie sessuali, con una percentuale del 54%, che stacca di 12 punti quella del 42% delle donne tra i 30 e i 74 anni.
Altri fattori di rischio sono: l'uso di alcol da parte del partner; la residenza in zone di conflitto o post-conflitto, dove le donne che hanno relazioni con partner in armi o ex combattenti sono piu' a rischio di violenza fisica o sessuale e pagano "un ulteriore scotto della guerra nel periodo post-conflitto". Le donne con disabilita' vivono piu' violenza delle normoabili (il 47% ha subito quella fisica o sessuale), cosi' come sono piu' a rischio le rifugiate (38%). Tra le donne intervistate che hanno subito violenza fisica, sessuale o psicologica quando erano bambine il 93% ha di nuovo sperimentato situazioni simili da adulta "perche'- spiega Lanzoni- si impara un modello violento, che non si riconosce come sbagliato".
Emerge, poi, un altro dato significativo: il silenzio delle donne che vivono la violenza e la accettano come strutturale alla societa'. Il 43% del campione, infatti, afferma l'importanza che il proprio uomo faccia vedere che lui e' "il boss" in famiglia e il 30% pensa che la violenza sia una questione privata da risolvere tra le mura domestiche. "Occorre fare un lavoro di empowerment sull'autostima- osserva la vicepresidente Grevio- e, in tutti i Paesi, costruire una rete di donne che possa lavorare insieme per affrontare la questione della violenza e la tendenza a voler tornare indietro a valori tradizionali che la negano". Lo "standard per l'Europa" e' sempre la Convenzione di Instanbul, oltre al varo di "piani di azione nazionale che vadano a finanziare le organizzazioni delle donne, i servizi dello Stato, il lavoro sociale e quello della polizia".
Il taglio dei budget "non solo in Italia, ma in tutta Europa, non permette un serio approccio alle politiche di contrasto della violenza- denuncia Lanzoni- e anche in Italia esistono molte buone pratiche che pero' non vengono replicate sui territori e messe a sistema". Aiuterebbe "avere i dati amministrativi sui processi e sulle denunce che arrivano a procedimento e non vengono ritirate- conclude- anche per avere un quadro piu' chiaro e intervenire in modo mirato".
(Wel/ Dire)
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