A Modena scatti e illusioni in fondazione, che si allea con Reggio Emilia
Roma, 29 mag. - Si parte all'insegna del 1968, con gli studenti parigini fotografati da Bruno Barbey che si passano di mano in mano i sampietrini. Ma si prosegue, dopo uno sguardo alla rivoluzione iraniana e a Beirut, con l'utopia delle utopie, quella comunista: dopo la gigantografia di Lenin immortalata da Mario De Biasi a Leningrado (1972), ecco lo scatto creato ad hoc dal romeno Josif Kirßly: alcuni ragazzi, nel 2006, ammazzano il tempo libero seduti su una statua abbattuta del primo leader. Si passa poi a piazza San Venceslao, di nuovo nel 1968 ma a Praga, dove Ian Berry si ritrova circondato di giovani che si ribellano all'occupazione sovietica. Ma spiccano anche la serie Animal Farm (2007) della ceca Swetlana Heger, centrata sulle sculture di animali nei parchi di Berlino che sarebbero state realizzate con il bronzo della statua di Stalin che si ergeva in Karl-Marx-Allee, e pure Sale of Dictatorship (1997-2000) dello slavo Mladen Stilnovic, dove i ritratti di Tito passano dalle vetrine dei negozi alle bancarelle dei mercatini dell'usato. È solo un assaggio della mostra "A cosa serve l'utopia" (28 aprile-22 luglio alla Galleria civica), prodotta da Fondazione Modena arti visive, l'ente culturale diretto da Diana Baldon e presieduto da Gino Lugli che dallo scorso autunno riunisce in citta' Galleria civica, Fondazione fotografia e Museo della figurina.
A cura di Chiara Dall'Olio e Daniele De Luigi, gia' al lavoro nella Galleria e nella Fondazione foto, la mostra modenese 'pesca' dalle collezioni interne e dagli archivi della Magnum sviluppandosi nell'ambito del festival Fotografia Europea di Reggio Emilia, dedicato quest'anno proprio alle rivoluzioni e alle utopie. Non a caso, gli addetti ai lavori alla conferenza stampa di anteprima a Modena riconoscono che si tratta di un primo passo "per superare i campanilismi tra le due citta'", che anche sul fronte culturale hanno pesato.
(Wel/ Dire)