Roma, 29 mag. - "Il '68 era un movimento di molte cose nuove ma, come dice il Vangelo, non si puo' mettere il vino nuovo in otri vecchi. Erano dei movimenti che si appoggiavano a dei modelli teorici che avevano le loro radici nell'800 e che non sono riusciti a creare delle mappe sufficientemente affidabili per la navigazione". La pensa cosi' Roberto Boccalon, direttore dell'Istituto di Psicoterapia Espressiva e docente di Psicologia nell'Istituto Universitario Salesiano di Venezia, pensando ai movimenti studenteschi di 50 anni fa.
"È difficile trovare dei percorsi realistici per progettare dei cambiamenti di cose molto complesse, senza avere dei modelli di riferimento che tengano conto degli effettivi elementi antropopoietici: la ragione e l'emozione. Lascerei, quindi, al passato gli elementi di liturgie che mimavano alcuni aspetti, anche se in maniera non del tutto consapevole, di militarizzazione. Innanzitutto- spiega Boccalon- la non piena informazione su quello che succedeva in altre parti del mondo; l'idealizzazione di rivoluzioni lontane che, poiche' non le si conosceva, si immaginavano come ideali. Siccome quella russa era fallita, si pensava che quella cinese sarebbe stata buona. In realta'- afferma lo psichiatra- non esistono poteri buoni, le rivoluzioni devono essere prima di tutto accompagnate da rivoluzioni interne".
La storia non consente "al soggetto di poter fare un game over. Sicuramente la prospettiva del puer dell'epoca aveva delle grosse ingenuita'- continua Boccalon- ma di quegli anni terrei l'esperienza di stimolo e del lavorare in gruppo, del confronto, la curiosita' e soprattutto la capacita' di fare domande e di non basarsi sull'ipse dixit. È stata un'esperienza didatticamente interessante che ha influenzato i miei interessi successivi- conclude lo psichiatra- l'interesse per i gruppi si tradurra' in una mia costante di tipo professionale".
Qui e' possibile guardare la videointervista della Dire.
(Wel/ Dire)