Roma, 29 mag. - "Nella 'Canzone del Maggio' De Andre' cantava 'Lottavano cosi' come si gioca i cuccioli del maggio era normale'. Del '68 andrebbe recuperata questa capacita' di giocare seriamente con la vita, con la trasformazione. Lottavano cosi' come si gioca, perche' si puo' lottare con la stessa naturalezza del gioco e si puo' giocare con la grande serieta' con cui si lotta". Del '68 recupererebbe questo aspetto Claudio Widmann, psicoanalista junghiano e curatore dell'XI convegno nazionale dell'Italian Committee for the Study of Autogenic Therapy (Icsat) dal titolo 'Il puer, l'aspetto eternamente giovanile della psiche'.
"Questo congresso prima che essere stato dedicato al '68 e' dedicato al puer- continua Widmann- quello stile molto giovanile, adolescenziale e, a volte, anche infantile di affrontare la vita e i problemi del mondo. Da questo punto di vista il gioco e' un discorso quasi ineludibile, che non appartiene tanto al bambino ma al puer. È l'archetipo del puer che gioca, sia quando si esprime giocosamente nei bambini che quando si esprime negli adulti".
Il gioco non e' definibile. "Va sempre considerato nella molteplicita' degli aspetti che compongono l'atteggiamento ludico. Uno di questi e' la competizione, che poi e' anche l'esplorazione. Sono tutti quei giochi che ci fanno vivere l'esperienza di essere capaci di affermarci sopra qualcuno o qualcosa. Sullo sfondo, dal punto di vista archetipico- prosegue lo psicoanalista- c'e' sempre la grande questione esistenziale: la possibilita', almeno relativa, di affermare la nostra coscienza sulle potenze sterminate dell'inconscio. Alla fin fine e' questo che andiamo sempre sperimentando nei giochi di Agon (agonismo), dove si tratta di vincere, dominare e sopraffare.
Facciamo sempre l'esperienza di quello che siamo noi coscientemente, che si puo' affermare sopra le potenze degli altri, del mondo e piu' genericamente dell'inconscio".
Del gioco andrebbero recuperate "le caratteristiche propriamente ludiche e molto diverse dai luoghi comuni che circolano sul gioco. Una di queste e' la grande serieta'- spiega Widmann- se osserviamo un bambino che gioca lo notiamo molto impegnato. Se guardiamo la gente che gioca con la playstation non e' disturbabile, basti pensare all'enormita' delle risorse economiche che un adulto mette nel gioco, a volte nel gioco d'azzardo. O ancora, consideriamo la quantita' di risorse che l'adulto mette in certi giochi per grandi, come la motocicletta con cui divertirsi, le automobili molto performanti, e allora vediamo che il gioco ha delle qualita' molto serie". Il gioco ha bisogno di regole, non esiste gioco che non abbia regole.
"Bisognerebbe recuperare la capacita' di esprimerci liberamente all'interno di quadri regolati, di dare alla nostra attivita' libera un'impostazione ordinata. Andrebbero recuperate tutte le impostazioni fondamentali- aggiunge Widmann- quella di affermare le nostre capacita' di imporci e sperimentare (come succede nei giochi di vertigine) la potenza del non me, delle forze piu' grandi di me. Andrebbe recuperata la molteplicita' e la volubilita' del trasformismo delle varie identita' che possiamo avere. Sono i giochi di fiction, adesso aiutati dalla tecnologia e un tempo dal teatro, dal travestimento e dal carnevale- ricorda lo psicoanalista junghiano- dove assumevamo e davamo concretezza ad aspetti diversi dell'identita'. Del gioco- conclude- dobbiamo recuperare quasi tutto, tranne che la sua banalizzazione".
Qui e' possibile guardare la videointervista della Dire.
(Wel/ Dire)