Come? Il 42% si affiderebbe ad assistenza domiciliare, il 36% a un parente
Roma, 3 lug. - Sono milioni in tutta Italia, da Nord a Sud. Assistono un proprio familiare - come un figlio, un genitore, un coniuge - disabile, malato, comunque non autosufficiente. Un'attivita' molto faticosa quella dei cosiddetti caregiver, che si svolge all'interno delle mura domestiche per molte ore ogni giorno o addirittura a tempo pieno. Cercando un equilibrio che spesso diventa impossibile con il resto della famiglia, il lavoro, gli impegni quotidiani. E che obbliga a una vita di rinunce, difficolta' e sacrifici.
L'arrivo dell'estate, pero', e' anche per i caregiver il momento di prendersi finalmente una pausa: cosi' la pensa la stragrande maggioranza degli italiani, secondo i quali un po' di riposo e' fondamentale per recuperare le forze e riprendere al meglio, al rientro, l'attivita'. Solo l'8%, infatti, pensa che nemmeno in questo momento dell'anno ci si possa concedere un, pur breve, periodo di vacanza. È quanto emerge dall'ultima ricerca dell'Osservatorio di Reale Mutua sul welfare.
Ma come organizzare la pausa senza ridurre le cure del proprio caro? Per quasi un italiano su due (42%) la soluzione migliore e' rivolgersi a un servizio di assistenza domiciliare con personale esperto, il 36% si affiderebbe a un altro parente in grado di sostituirlo e un ulteriore 34% a un'associazione di volontariato o a una struttura ad hoc.
Assistere con continuita' un familiare in stato di bisogno puo' essere infatti un compito molto gravoso, che condiziona la vita del caregiver in molteplici aspetti: secondo gli intervistati, la prima sfera a risentirne e' quella personale e lavorativa (60%), con rinunce alla carriera ma anche agli svaghi e al tempo libero. A preoccupare sono pero' anche i contraccolpi psicologici (52%), che possono manifestarsi con stati di ansia, depressione o persino senso di colpa, le ricadute economiche (46%) per i costi legati all'assistenza e gli effetti sulla salute stessa di chi assiste (42%).
Le difficolta' aumentano, poi, se il caregiver non dispone di risorse economiche sufficienti (54%) o deve far fronte ai compiti di cura da solo (45%), senza una rete relazionale solida a cui affidarsi, magari abitando lontano dalla cerchia familiare (34%).
Ma non solo: dedicarsi anima e corpo a questa attivita' porta spesso a mettere in secondo piano le proprie esigenze, fino ad adottare comportamenti errati e pericolosi. Secondo gli italiani, fra i principali rischi c'e' quello di non chiedere aiuto e pensare di poter fare da solo (46%), addossandosi in toto i compiti di cura, ma anche quello di lasciarsi assorbire al punto da trascurare la propria salute (44%), rimandando o addirittura non sottoponendosi a visite ed esami medici, o di annullare le relazioni sociali (44%) e persino i rapporti con gli altri membri della famiglia (39%).
Che cosa puo' aiutare allora il caregiver nella sua attivita'? Al primo posto, dicono gli intervistati, misure di sostegno economico (51%) e forme di conciliazione vita-lavoro (46%), che permettano un'organizzazione piu' flessibile degli orari.
Importante sarebbe inoltre poter contare su un sostegno psicologico (38%), ricevere informazioni sulla patologia in questione (33%) e anche conoscere le diverse soluzioni di assistenza disponibili per il caregiver stesso (30%), fino alla possibilita' di delegare a terzi alcune attivita' quotidiane, come la spesa (34%). Un ulteriore 20% ritiene utili i servizi di telemedicina (20%), con cui e' possibile monitorare e inviare a distanza i parametri vitali dell'assistito.
(Wel/ Dire)