Castelbianco (IdO): Guai a trasformare una sintomatologia in una diagnosi
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 27 set. - Se un bambino non sta attento a scuola, se si agita, se mostra rabbia, genitori e maestre non pensino subito a un disturbo dell'attenzione o dell'apprendimento, a una patologia, magari da curare con gli psicofamarci. "La scuola, oggi, e' troppo sanitarizzata, i genitori preoccupati si consolano delegando al neuropsichiatra, allo psicologo, agli insegnanti". E una volta che hanno in mano una diagnosi, pensano che il bambino abbia un problema e si fermano li', "perche' si tende a tener conto della prestazione di quel momento, non si guarda all'evoluzione, si crede erroneamente che una sintomatologia sia gia' una diagnosi". Ma "una diagnosi sbagliata puo' provocare disastri". E "i bambini crescono pensando di essere malati". E' cominciato cosi', al convegno organizzato a Bologna dall'Ordine degli psicologi dell'Emilia-Romagna "Zero-tre anni, l'importanza di un buon inizio", l'intervento di Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell'eta' evolutiva e direttore dell'Istituto di Ortofonologia di Roma. Davanti a una platea di oltre 100 tra psicologi e insegnanti, Bianchi ha portato l'esperienza del suo team, circa 100 persone, che ogni anno vede circa 5.000 minori. E ha esortato i professionisti ad approfondire, a mettersi in discussione "a non considerare gli atteggiamenti dei bambini come una patologia, non rifugiarsi dietro ai protocolli a non facilitare la medicalizzazione. Noi dobbiamo essere piu' cauti degli altri". Non e' un caso, ha aggiunto lo psicoterapeuta, se le diagnosi di autismo sono cresciute enormemente negli ultimi anni, passando da una su 2.000 bambini a due ogni 100.
Nell'esaminare i piccoli, ha sottolineato, capita di non pensare, per esempio, "che oggi si porta un bambino al nido a sette mesi, mentre nel passato stava con la mamma anche fino ai sei anni", di non tenere in considerazione che "oggi c'e' chi allatta il figlio oltre i 18 mesi, lo tiene nel lettone oltre i quattro anni". Come pure che "alcune mamme vivono la gravidanza come un cambiamento del proprio corpo e, dopo, come un problema perche' devono tornare a lavorare". Insomma, col fatto che gli adulti vivono pensando alle prestazioni, trasmettono ai figli questa ansia e "talvolta non si pensa al problema del distacco, che poi ha delle conseguenze nel comportamento del bambino e che, a sua volta, viene derubricato come un problema di apprendimento o di attenzione".
L'invito dello psicoterapeuta alle mamme e' di non avere solo un atteggiamento che accudisce, ma di ricercare l'empatia con il figlio. Di non dare il telefonino al figlio a sei anni e pretendere che a scuola lo tenga sul banco, acceso, dicendo alla maestra che chiede di spegnerlo che si impedisce al genitore di comunicare col figlio. Perche' non e' solo quello, il modo di comunicare, servono gli abbracci.
(Wel/ Dire)