Autismo, Vanadia: DSM 5, verso un approccio piu' dimensionale alla diagnosi
Esistono altre condizioni che possono determinare comportamenti di tipo autistico
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 30 mar. - "Abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a un aumento delle diagnosi (le ultime stime dell'Organizzazione mondiale della Sanita' parlano di 1 un bambino autistico ogni 160) e al momento la maggior parte degli studi sono orientati all'individuazione di parametri 'oggettivi' per rendere omogenea e precoce la diagnosi stessa. Tuttavia, nella pratica clinica, ma anche nella ricerca e nell'epidemiologia, bisognerebbe tener conto dei rischi dell'iperdiagnosi o della misdiagnosi, proprio perche' nei primi tre anni di vita, che e' il periodo evolutivo e dinamico per eccellenza, esistono molteplici condizioni che possono simulare quadri o determinare comportamenti di tipo autistico". A porre l'accento su alcune delle criticita' relative all'inquadramento diagnostico dei disturbi dello spettro autistico e' Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile dell'Istituto di Ortofonologia (IdO) e autrice del capitolo 'Il DSM-5: Il quadro sintomatico nella prospettiva della scienza e della clinica' del libro 'Lo spettro autistico'.
"Ma cosa comporta per il bambino e per la famiglia un errata diagnosi? È corretto che un genitore dica, o si senta dire, che 'almeno con la diagnosi saranno garantiti al figlio assistenza e riabilitazione'? E non deve far riflettere che oggi i dati in aumento sono anche relativi alla 'guarigione'. Il dato significativo- continua l'esponente dell'IdO- oltre alla correttezza e accuratezza diagnostica e alle conseguenze di una 'anticipazione della diagnosi' sul bambino e sulla famiglia, e' chiaramente relativo alle indicazioni terapeutiche: non e' detto che in due bambini con il medesimo sintomo sia presente la stessa matrice di disturbo. Anche questo, a mio avviso, e' il ruolo di chi fa diagnosi: interpretare scientificamente e onestamente il sintomo".
A livello epidemiologico, Vanadia conferma che "sicuramente tante malattie stanno aumentando nel mondo, sia quelle su base biologica/genetica che quelle correlate a fattori di natura psicologica, ed e' chiaro che i fattori ambientali stanno incidendo sempre piu' sulla vulnerabilita' individuale (gli studi di epigenetica ce ne danno continue conferme. Pero'- rimarca il medico- l'aumento appare troppo forte, cosi' come e' altrettanto significativo il fatto che le terapie di tipo emotivo-relazionale riescano a modificare in modo drammaticamente positivo la condizione. È allora presumibile- afferma la specialista- che non stiamo ponendo la giusta attenzione e differenziazione alla eterogeneita' dei disturbi autistici. Bisognerebbe anche considerare che quadri sintomatologici simili possano essere sottesi da matrici di natura differente".
Un altro aspetto su cui la neuropsichiatra tiene a far luce riguarda la ricerca: "Non sempre i criteri diagnostici della ricerca coincidono con cio' che ritroviamo nella clinica- spiega l'esponente dell'IdO- credo che la ricerca debba essere a supporto della clinica, senza sostituirsi ad essa ma attingendo da quest'ultima i dati su cui concentrarsi, e che tra i due ambiti di lavoro dovrebbe esserci una comunicazione costante. Il rigore necessario nella ricerca potrebbe non rispecchiare il 'bambino reale' e chi si occupa di patologie neuro-psichiatriche non puo' non tenerne conto. E' chiaro che abbiamo bisogno e dobbiamo rispettare indicatori e criteri diagnostici, ma, come testimonia l'evoluzione degli stessi manuali diagnostici, non possiamo piu' limitarci a un approccio categoriale, e' necessario tener conto della dimensionalita'. E il DSM 5 ne e' una testimonianza. Non dimentichiamo -conclude Vanadia- che abbiamo di fronte degli esseri umani".
(Wel/ Dire)
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