(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 22 mar. - 'Non possiamo esattamente sapere quando viene concepita la vita della psiche, ma una cosa e' certa: quando nasciamo e' gia' presente questo seme dentro di noi. Esiste una relazione dinamica tra la vita e la psiche dalla quale non possiamo prescindere, persino nell'etimologia greca: bios indica la vita materiale, mentre psyche' l'anima (la vita spirituale). Un connubio che spinse Jung a compiere un'analogia fonetica tra i termini psyche' e pneuma (spirito, vento, soffio), proprio ad indicare nella psiche il fattore che dinamizza la vita. La vita della psiche va sempre considerata nelle sue due dimensioni fondanti: quella diacronica, il mutare della psiche nell'orizzonte temporale della coscienza; quella sincronica, il permanere immutabile di una radice psichica profonda che non sembra risentire delle fluttuazioni epocali.
Questa dicotomia ci rimanda direttamente alla distinzione operata da Carl Gustav Jung tra inconscio personale ed inconscio collettivo'. Cosi' Luca Biasci, psicoanalista junghiano, psichiatra, omeopata e co-curatore del libro collettaneo, edito Magi, 'La vita psichica. Origine, sviluppo, trasformazione' (2009), spiega alla DIRE il concetto di vita nella psiche e di psiche nella vita.
'Trovo opportuno rivolgermi alla dimensione del mito, come conviene sempre quando si tratta di descrivere l'indefinibile e di addentarsi in misteri cosi' profondi- prosegue il terapeuta- e, nello specifico, utilizzerei un mito di fondazione della civilta' etrusca'. Nel periodo della storia etrusca che gli studiosi definiscono 'orientaleggiante', prevaleva in questo popolo una visione della morte quale evento trasformativo, e una visione del mondo basata su una commistione dinamica tra la vita dei vivi e gli spiriti dei defunti- continua lo psicoanalista- metafora del rapporto tra realta' e immaginazione, fra il sogno e la veglia'.
Questo mito parla di Tarcon: 'un contadino etrusco che, mentre ara il suo podere, scorge in un solco un piccolo fanciullo che comincia a cantare. Attraverso il canto il bambino esprime tutta la saggezza sulla vita e sulla morte, poi invecchia rapidamente e muore, rientrando nel solco da cui e' scaturito. I sacerdoti trascriveranno tutte le sue parole nei loro documenti e daranno vita alla saggezza degli etruschi'. Il bambino si chiama Tagete e 'ci rimanda, appunto, agli studi di Jung e Kere'nyi (1942) sul fanciullo divino. In questo mito si adombra l'idea di una conoscenza tutta gia' presente in se' ab initio e che una volta trasmessa nel tempo presente (quello degli etruschi, in questo caso) ritorna all'interno della Madre Terra da dove e' venuta, rientra cioe' in quella matrice ctonia che e' l'inconscio collettivo ed impersonale, atemporale, ma al tempo stesso la Matera Prima, la natura primordiale, arcaica. L'immagine del fanciullo divino, gia' compiuto dalla nascita, indica la metafora della vita psichica basata sul concetto aristotelico di entelechia: quando sorge ha gia' in se' il proprio compimento, ha iscritta internamente la meta finale verso cui tende ad evolversi. È come un seme che contiene gia' in se' lo sviluppo dell'intera pianta, o il DNA che contiene in se' tutto lo sviluppo successivo dell'individuo'.
- Cosa influenza la vita psichica e come si puo' sviluppare? 'E' il rapporto dinamico tra la vita psichica dentro di noi (coscienza e inconscio) e al di fuori di noi (tutti gli altri esseri umani, a loro volta con la loro vita psichica, ma anche tutta la natura e l'Universo in cui siamo immersi). Possiamo azzardarci a dire, con C. G. Jung, che dove c'e' dinamismo - dialogo o conflitto, incontro o scontro, o anche, forse piu' spesso, equilibrio instabile, tensione fra gli opposti - si crea quell'energia che da' origine allo sviluppo e alla trasformazione della psiche. Possiamo anche aggiungere, pero', che il quid essenziale che da' origine a un cambiamento radicale e spesso improvviso nella vita psichica di un essere umano e' da rintracciarsi proprio nella sofferenza- sottolinea Biasci- in quelle emozioni che, potremmo dire, ci mettono alla prova'.
Per spiegarsi l'omeopata riprende l'immagine orientale del Tao (YIn e Yang), ma in una variante occidentale astrattista, come si potrebbe riscontrare nell'interpretazione di una mirabile opera pittorica: il 'Circle jeune' di kandinsky (1926), 'possibile icona simbolo della vita psichica che si sviluppa e si trasforma'.
Il quadro ritrae un cerchio di oro zecchino diviso a meta': un lato d'orato e uno rossastro, 'in cui affiora un rosso sangue.
L'oro zecchino si embrica e abbraccia con i colori piu' scuri del verde e del nero. All'interno dell'oro si ritrovano quindi tracce di scuro e viceversa, sfumature gialle si notano nelle zone piu' in ombra, in una sorte di circolo dinamico spiraliforme, proprio come nel Tao. Questo perche' dentro la vita psichica abbiamo una continua commistione tra un fuori e un dentro- ricorda lo psicoanalista- tra un nascere e un morire, proprio come all'interno del cerchio abbiamo un'iniezione di sangue che mette in circolo questa dimensione trasformativa tra YIn e Yang: il pathos originato da un evento che ci parla di qualcosa che ha creato sofferenza. Ci parla di sangue attraverso il sangue'.
Lo psichiatra prosegue nella descrizione dell'immagine: 'La vita psichica dentro di noi, simboleggiata da quest'occhio lunare che viene sporcato dall'irruzione di una sofferenza, rappresenta una categoria trasformativa per la vita psichica dell'uomo. Il blu kandinsky che avvolge il cerchio ci rimanda alla vita esterna all'uomo, alla vita 'perenne' dell'inconscio collettivo, profondo come il mare o immenso come il cielo ma anche sempre lo stesso; e' la matrice oscura da cui tutto nasce e tutto ritorna, quindi la Materia, come dicevo prima, ma al tempo stesso anche lo Spirito, dove tutto assume una dimensione astratta e transpersonale. Lo schizzo di rosso al centro, invece, ci ricorda che la dimensione di trasformazione nell'orizzonte temporale della vita di un uomo implica il soffrire. Non nel senso di un banale 'star male' o di un essere esposti alle avversita', piuttosto si tratta di accettare il sacrificio, 'sacrum facere', ovverosia rendere sacro cio' che ci accade di vivere e diventare quindi piu' consapevoli'.
- La psiche rinasce? 'Parlare di rinascita della vita psichica implica il confronto con la dimensione del finire. Non parlo della morte della vita terrena, mi riferisco alle crisi esistenziali- chiarisce il medico- a quegli eventi del destino che impongono al nostro se' di compiere una scelta: continuare a vivere come ha vissuto fino a quel momento, oppure accettare di finire quello che prima si era, per aprirsi a una nuova possibilita' di esistere? Tutta la cultura cristiana parla di trasformazione attraverso la morte e il simbolo centrale ne e' la Croce e la Resurrezione di Cristo'.
Nel 1942 Jung ha dedicato un saggio intero sul simbolo della trasformazione nella messa. 'Con la celebrazione della Comunione si rivive e si 'in-corpora' questo passaggio di morte e rinascita della figura di Cristo che rende possibile la trasformazione della vita psichica dell'individuo. Cristo, almeno nella nostra cultura occidentale, rappresenta per definizione il Se', la complessita' totale della nostra vita psichica fatta di conscio e inconscio, di terreno e divino- spiega il terapeuta- perche' tutti noi abbiamo al nostro interno le potenzialita' trasformative per poter 'risorgere', ma se accettiamo quel sacrifico a cui abbiamo gia' accennato.
Ecco perche' il pathos, la sofferenza e quindi il simbolismo della croce sono cosi' importanti'. Biasci chiarisce: 'Da un punto di vista psicologico, nel momento in cui si affronta una morte in noi stessi ci viene chiesto di costruire qualcosa di sacro. Se prendiamo questa dolorosa ma fondamentale de-cisione - cioe' di separarci dalla nostra vecchia vita, abbandonarci agli eventi che il destino ci riserva, ma al tempo stesso prendendone le redini attraverso la nostra consapevolezza, la nostra capacita' di dargli un senso - diamo alla vita psichica la possibilita' di attingere a una nuova fonte di energia e quindi ci concediamo una chance di rinascita. Ecco il segreto- conclude lo psicoterapeuta- di tutta la saggezza Occidentale e Orientale su questi temi e anche, per inciso, di una psicoterapia del profondo ben condotta'.
(Wel/ Dire)