I donatori di sangue sono operatori della salute, calano al 39% in Italia ma non ad Ancona
Pagliariccio e Marinozzi: Hanno paura, se ci prendiamo cura di loro tornano a donare nel 97% dei casi
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 17 mag. - Nessun uomo e' uno straniero per un donatore di sangue: la vita ha valore in se', senza distinzioni alcune. Chi e' il donatore? Un operatore della salute con una personalita' particolare: e' schivo, umile, non si vanta, non si sente perfetto ne' onnipotente, non cerca lodi o riconoscimenti. Donare sangue e' per lui una decisione spontanea, in sintonia con la Natura, dove tutto e' in armonia. Il suo gesto avra' sempre un'influenza educativa sia sulla persona stessa, che dovra' adottare uno stile di vita sano per il bene di chi ricevera' il suo sangue, che sulla sua comunita' di appartenenza, in quanto educa tutti a una cultura del dono. Eppure, nonostante i donatori non dimentichino mai di donare, il loro numero sta calando. Secondo un rapporto del 2014 del Centro Nazionale Sangue, in media solo il 39% dei nuovi donatori ritorna a donare. In Italia un'eccezione esiste: nel reparto di medicina trasfusionale dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Torrette, sede di Chiaravalle (Ancona), le percentuali dei ritorni a tutt'oggi sono del 97%.
Perche'? Gli operatori sanitari hanno cura del donatore e lo accolgono la prima volta partendo da un colloquio che si caratterizza per un ascolto attivo. A raccontare alla DIRE come funziona questo metodo, avviato nel 2002, sono Maria Marinozzi, psicoterapeuta, e Antonella Pagliariccio, ematologo trasfusionista dell'Ospedale di Torrette.
- Cos'e' che trattiene un donatore dal tornare a donare? 'Grazie alla formazione psicologica acquisita con la dottoressa Marinozzi- chiosa Pagliariccio- ho potuto notare che gli aspetti emozionali negativi che la donazione muove (paura dell'ago, della vista del sangue, del camice bianco, dell'ambiente ospedaliero, di poter stare male o svenire) disturbano il donatore al tale punto che, quando sono molto intensi, possono sviluppare una reazione vaso-vagale: un calo di pressione che puo' arrivare fino alla perdita di coscienza. Se cio' si verifica durante la prima donazione, il donatore sara' demotivato dal ritornare. Da quando abbiamo iniziato ad effettuare i colloqui d'idoneita' per comprendere le dinamiche emotive dei nuovi donatori, abbiamo potuto verificare una diminuzione notevole di tali malesseri- continua il medico- poiche' sostenendoli nella gestione di tutte le ansie connesse alla donazione trasformiamo le paure in energie positive. Cio' li induce a tornare'.
- Quante volte l'anno si puo' donare sangue? 'Dipende dai sessi- risponde Pagliariccio- gli uomini possono donare il sangue intero quattro volte l'anno, le donne due volte a causa del flusso mestruale. Invece le donazioni parziali (plasma e piastrine), che si chiamano donazioni in aferesi, sono dal punto di vista emotivo di secondo livello perche' impiegano un tempo piu' lungo (40 minuti per la donazione di plasma e 1 ora circa per quella delle piastrine). Inoltre c'e' un separatore cellulare e un flusso di sangue che esce dalla vena, viene poi centrifugato e infine rientra. È normale che questi donatori abbiano piu' paura, ma se adeguatamente supportati riescono a fare tutto. Il bello di questo metodo- aggiunge l'ematologo- e' che anche il donatore che ha la fobia riesce in una, o due volte, a prendere confidenza con la donazione e diventa autonomo come il donatore che non ha paura. La donazione del plasma si puo' fare anche ogni 14 giorni per un massimo di 10 litri/anno, quella delle piastrine 6 volte l'anno'. Non e' vero che bisogna stare completamente a digiuno: ' Consigliamo ai donatori di fare colazione, non abbondantissima e possibilmente un'ora prima della donazione in modo che la persona abbia il beneficio di stare a stomaco pieno. Se poi il donatore dovra' eseguire il check-up generale annuale, allora consigliamo di far trascorrere almeno due ore cosi' che tutti gli esami metabolici, non siano alterati'.
- Da cosa e' caratterizzato questo colloquio? 'Da un ascolto attivo- sottolinea Pagliariccio- nel momento in cui valuto da un punto di vista medico il donatore, cerco anche di capire quali sono i suoi bisogni. Non tutti gli aspiranti donatori hanno le medesime paure. Questo colloquio interattivo mi aiuta ad approfondire le tematiche che servono. Se il donatore registra che l'operatore sanitario e' interessato a come lui vivra' questa esperienza, automaticamente si fidera'. Non si sentira' un portatore di sangue ma una persona che il medico vuole seguire in quel percorso. Dal suddetto interesse reciproco si costruisce un'alleanza terapeutica'. Si deve creare una 'disponibilita' emotiva dell'operatore verso il donatore- sottolinea Marinozzi-, un ponte comunicativo profondo che permettera' al donatore di liberare le emozioni che prova, negative e positive, e al medico di captare gli stati d'animo, i bisogni e i pensieri di colui che va a donare, per poterlo tranquillizzare o produrre in lui un cambiamento comportamentale'.
Le due dottoresse partono da un assunto: limitarsi a considerare solo gli aspetti biologici e molecolari delle disfunzioni del corpo significa svuotare il malessere del suo significato piu' profondo. 'Il corpo e la mente sono due entita' connesse- prosegue la psicoterapeuta- e il disagio se non riesce ad esprimersi a livello verbale, in particolare con la parola, tendera' a diventare un malessere corporeo. Noi lavoriamo sulle emozioni attraverso un ascolto di tipo psicodinamico, verbale e non verbale, dei vissuti emotivi anche di quanti non parlano. Non tutti sanno riconoscere e definire le loro emozioni. Individuare il malessere, anche quando non viene rivelato, e saper leggere aldila' delle parole diventa per un medico uno strumento importante per capire la condizione emotiva in cui l'altro si trova'.
- Quali sono i sintomi premonitori di un malessere? 'Nell'ambito medico la suggestione prende campo se non ci sono informazioni di base. In questo senso, il donatore non esprime spontaneamente il timore. Sono pochissimi quelli che lo fanno- chiosa Pagliariccio- e in genere cercano di risolvere da soli le loro problematiche. Quando ho iniziato a indagare sulle paure, e' emerso tutto un sottobosco di ansie diffuse ovunque. Forse i meno timorosi sono gli africani. Premetto che io lavoro per prevenire questi malesseri- ribadisce l'ematologo-, ma per farlo occorre che il nuovo donatore sia seguito. Bisogna parlargli e vedere se ascolta ed e' attento durante la prima donazione. Osservare se parla troppo o troppo poco, se non ti segue o e' irrequieto sul lettino sono tutti segnali di un disagio e sono diversi perche' ogni donatore e' differente'.
- Perche' e' necessaria una formazione psicologica? 'In 20 anni di esperienza posso dire che la mia formazione di medico da sola non mi dava la possibilita' di capire fino in fondo quello che succedeva. Avevo intuito che per alcuni la donazione era piu' difficile che per altri- rivela Pagliariccio- pero' solo conoscendo le dinamiche che la paura innesca ho potuto rendermene conto. Avere una formazione psicologica e' di grande aiuto per il medico'. Marinozzi ne spiega il motivo: 'E' significativo che a gestire il colloquio sia il medico e non un counselor- ricorda la psicoterapeuta- perche' il donatore si affida al medico che per il ruolo che ha e' vissuto come l'unico che possa contenere le sue ansie. Ecco perche' e' importante che il medico abbia gli strumenti adeguati per poter gestire le emozioni dei suoi pazienti'.
Se i donatori sono la 'parte piu' sana della popolazione e anche loro hanno paura, vuol dire che e' necessario avviare un lavoro educativo fin dall'infanzia per educare i bambini a saper gestire le emozioni'.
L'anno scorso Pagliariccio e Marinozzi hanno realizzato un progetto con le insegnanti delle scuole elementari di due Istituti comprensivi di Falconara Marittima (Ancona), Dante Alighieri e Leonardo da Vinci, per avviare un percorso educativo, pedagogico e didattico che aiutasse i piccoli studenti a gestire le loro emozioni e a favorire una cultura del dono. 'Se insegniamo ai bambini a sentire, elaborare e a scambiarsi i propri sentimenti e le loro emozioni, li educhiamo anche ad essere piu' empatici e a sentire gli altri. Cio' riduce l'aggressivita' che poi in eta' piu' adulta si traduce in bullismo. Donare il sangue e' la chiave di una cultura aperta alla vita'.
Da questo progetto e' scaturito un libro in via di pubblicazione che si intitola 'Tornate bambini': 'Non e' un titolo scelto a caso. Bisogna avere questa immediatezza di espressione della propria emotivita' come fanno i bambini. Nel libro c'e' un continuo confronto tra le esperienze dei bambini e le esperienze dei vissuti dei donatori- concludono- per evidenziare che certi blocchi emotivi, o esperienze estremamente pesanti, se non elaborati da piccoli rimangono irrisolti e si trascinano in eta' adulta'.
(Wel/ Dire)
|