(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 9 giu. - "Le scene di morte cruenta esibite dall'Isis attraverso i media offendono la nostra sensibilità perché rappresenta un insulto al nostro attaccamento alla dimensione individuale. Queste uccisioni mettono a confronto mondi che appartengono ad aree culturalmente diverse della psiche collettiva, portatrici di una visione profondamente diversa nei confronti della morte. Esistono strati della psiche dove l'identità individuale è accentuatamente fusa con quella collettiva, dove il singolo perde di rilevanza, proporzionalmente a quella che acquista il collettivo. La cultura occidentale moderna è invece fortemente individualizzata e la morte del singolo viene percepita come un affronto e un oltraggio alla rilevanza dell'individuo". A dirlo è Claudio Widmann, psicoterapeuta, analista junghiano, membro del Centro Italiano di Psicologia Analitica e della IAAP (International Association for Analytical Psychology).
"C'è la possibilità che l'ostentazione della morte renda indifferenti. Inoltre, le immagini di morte trasmesse in tv e al computer si collocano in una zona liminale tra realtà e fantasia, dove la realtà viene facilmente assimilata alla finzione. Sono immagini realistiche- continua l'analista- che però giungono sia agli adulti che ai bambini in un contesto in cui la capacità di discriminare tra realtà esterna e realtà immaginata è destabilizzata".
La "reiterazione dello stimolo depotenzia lo stimolo stesso: percepire immagini di morte ripetutamente, quotidianamente e diversificatamente (stimoli visivi, uditivi, intellettivi etc.) ne attenua l'impatto emotivo e ne superficializza la consapevolezza. In questo senso, gli aspetti tecnologici, culturali e di costume (in ogni caso psicologici) che caratterizzano il nostro tempo- conclude- sono funzionali al meccanismo di diniego strisciante della morte".
(Wel/ Dire)