(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 9 giu. - Noi non ci interroghiamo sulla morte, ma la morte, passo dopo passo, durante la vita, continua a interrogarci. La incontriamo a volte molto presto, nelle tragiche morti di qualcuno che ci è molto caro e vicino, quando siamo piccoli (a allora abbiamo risposte più serene e naturali, perché la dimensione dell'invisibile è ancora aperta nei bambini, prima che 'si chiudano loro gli occhi'); oppure morti violente durante la nostra adolescenza, che sconvolgono le prospettive del futuro in cui siamo immersi.
La incontriamo poi nelle morti dei genitori, che nella nostra era e nella nostra civiltà si protraggono nel tempo in modo da sovvertire tutte le coordinate dell'esistenza, momenti in cui si spalanca ancora più profondo il mistero della vita. Su quelle soglie si condensa la memoria, si precisa il nostro destino, le nostre spalle sono da un lato per sempre sguarnite e dall'altro protette dagli antenati, aperte su una nuova costante dimensione.
La morte dei nostri genitori de-finisce la nostra vita, la orienta, indica la direzione, potremmo anche aggiungere che - se abbiamo fatto attenzione e un fine lavoro precedente, è il grande solvente del complesso di cui erano portatori, addirittura innescatori. La morte poi ci affronta quando ci ammaliamo, quando viene diagnosticata una malattia grave, che segna il nostro tempo. Si avverte allora tutta la fragilità del corpo, che tutto 'il telaio scricchiola', per usare la straordinaria espressione di Rilke (a proposito dell'ispirazione travolgente), e improvvisamente tutto diventa molto serio, delicato, e il gusto della vita si fa più intenso. Solo quando incontriamo i nostri limiti diventiamo profondi, diceva Jung: ci accorgiamo delle nostre radici, e si apre, in modo evenemenziale e reale, la dimensione dell'invisibile. A quel punto, come nella seconda metà della vita, non affrontiamo più l'idea della Morte e la sua presenza nella nostra vita, ma lei ci scende accanto, al nostro fianco.
Questa vicinanza segna la seconda metà dell'esistenza, il tempo maturo della vecchiaia, parola che la nostra civiltà non ama, teme, rigetta. Per Jung la morte è meta e confine che orienta la vita e le dà uno scopo; nell'accompagnare gli ultimi momenti di vita di persone anziane, ha osservato come l'inconscio reagisce davanti alla minaccia apparente di una fine totale: semplicemente, la ignora. Si comporta come se la vita continuasse: fino all'ultimo dobbiamo vivere come se avessimo secoli davanti a noi, poiché abbiamo secoli davanti a noi. La paura di morire ci fa guardare indietro invece che avanti, ci pietrifica e ci fa morire in vita, prima del tempo. Esiste quindi un altro tempo, un altro spazio, quello del mondo dei 'vicini di casa', il mondo alla rovescia che sta sotto i nostri piedi o a noi accanto, dove proprietari dei luoghi interni ed esterni sono gli antenati, le famiglie dei geni e dei djinn (Jenoun), dove le figure della psiche prendono corpo, occupano spazio ed hanno vite parallele.
Nei sogni vivi e morti non hanno differenze, possiamo prendere il thè insieme, risentire il loro profumo, ancora amarli, ritrovarli, scoprire che i morti giovani sono cresciuti, maturati, invecchiati, divenuti grandi e nostri coetanei, che gli anziani hanno sguardi da bambini; che i volti sfigurati da morti tragiche si ricompongono e ritrovano tratti distesi. Jung a lungo ha frequentato e interrogato il Regno dei Morti, il Tempo del Sogno, il Mondo infero e del profondo, cercandovi e trovando la luce che brilla in mari tenebrositatis, e scoprendo i segreti iniziatici del Mysterium Coniunctionis. Ha riallacciato - mostrandone i nessi inscindibili - il mondo di sopra con quello inferiore, l'al di là e l'al di qua, portando anche nella nostra civiltà il sapore, e i saperi, dell'Invisibile. Un grande studioso di questa dimensione è l'etnologo e antropologo Jean Servier, autore de L'uomo e l'invisibile, e del successivo Les techniques de l'Invisibles, scritto dopo aver incontrato il pensiero di Jung e Marie Louise von Franz: era un assiduo frequentatore di Eranos. 'Il mondo invisibile è nato nel sonno dell'uomo, nel sogno - dice Servier - ma anche dalla certezza di un'anima che non è soltanto principio invisibile di vita indipendente dal corpo, ma anche principio immortale. In tutte le civiltà, aggiunge, la disposizione in cui si pone il cadavere è testimonianza certa di una fede nella resurrezione: il morto ha il volto a est, oppure è raccolto come un feto, pronto per una nuova nascita. Fin dall'alba dell'umanità, gli uomini si sono riconosciuti impotenti davanti a questo sonno che dura in modo inquietante.
In previsione del risveglio, hanno posto accanto al corpo addormentato provviste, armi, vestiti. E questo da allora continua: questa fiducia in un risveglio, nei millenni, eccezion fatta per alcune epoche ricche in beni materiali e presso alcuni intellettuali, in Occidente e in Asia. Come Jung sosteneva che questa dimensione è un fatto psicologico, Servier la descrive come un fatto etnologico che merita attenzione. A questo vorrei aggiungere le riflessioni di Tobie Nathan, profondo conoscitore dei saperi dei grandi guaritori e interpreti di sogni di altre civiltà e culture, che sostiene che quando proclamiamo la morte di un essere umano denunciamo il limite del nostro pensiero. Noi non sappiamo proseguire lo sguardo, sostenere il nostro interesse per lui tenendo conto del suo viaggio verso un altro mondo: non sappiamo pensarlo in quanto nuovo essere in un altro mondo. Il nostro pensiero non riesce a fare salti, attraversare barriere, seguirlo nella sua migrazione. Ma i sogni sanno farlo, e in ogni latitudine c'è la regola che la morte mette al mondo la vita, come i Misteri eleusini rivelavano agli iniziati dagli occhi velati. Troppo spesso gli studiosi hanno cercato nei rituali solo gli interdetti e le limitazioni, l'aspetto consolatorio, non il loro potenziale creativo. La messa in scena rituale è l'atto di nascita del morto. E aggiunge che essi si affannano nello studiare l'accettazione della morte, che cosa banale! Bisogna sviluppare pensieri complessi, che rendano conto delle vite che abbondano così spesso intorno ai morti.
Ed è vero: per esperienza diretta posso dire che, accanto al dolore e alla insostenibile vacanza, la morte semina la vita, portando nuovi eventi che popolano lo spazio vuoto (ho conosciuto don Marco il giorno dopo la morte della mia mamma). I Dogon del Mali lo sanno molto bene, e passano una spiga di miglio di qua e di là del corpo del morto, nel giorno della sepoltura, con il gesto della navetta del telaio, spargendo semi ai lati della barella rituali, riseminando la vita e ritessendo le vicende continue tra ordito visibile e trama invisibile'.
L'uomo - tornando a Servier - crede alla durata dell'anima dopo la morte. Questa credenza spiega e condiziona tutti i rituali relativi alla morte. Paiono inspiegabili a noi occidentali, ma d'altronde anche la morte ci sembra inspiegabile e ci sorprende ogni volta, come se bussasse per la prima volta. In tutti gli altri luoghi l'uomo ha avuto la saggezza di organizzare la sua concezione dell'universo tenendo conto della morte, non ignorandola; l'essere umano ha saputo custodire questa saggezza, per lungo tempo, fino a quando ha incrociato sulla sua strada la follia dell'Occidente.
Nel Mediterraneo e nelle religioni del Medio Oriente l'uomo ha scelto il grano che muore per rinascere in nuova spiga per simbolizzare la grande avventura umana. Non sappiamo quale maestro misterioso gli abbia donato quella spiga, invece di lasciarlo meditare sulle tombe da cui nessuno torna o sulle palme disseccate che non rinverdiscono. Se un cane ritorna dieci volte con la stessa insistenza a gemere davanti a una porta chiusa, l'osservatore più scettico penserà che il suo padrone forse è in pericolo, al di là di quella porta, o almeno che di là sta succedendo qualcosa. Da millenni, da un limite all'altro dello spazio, l'uomo torna davanti alla porta della morte con gli stessi sentimenti, la stessa speranza. Possiamo accordargli la stessa fiducia che al cane fedele e dire, davanti a questo atteggiamento testardo dell'umanità: è questa la porta del Maestro Invisibile?
Qui è possibile leggere tutto l'articolo
(Wel/ Dire)