(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 27 gen. - "Il Codice deontologico medico all'art. 17 afferma che il medico non può deliberatamente e intenzionalmente portare a morte il paziente anche su sua richiesta. Ed è proprio sulla volontà di uccidere il malato che s'incardina il concetto di eutanasia. Se da una parte l'eutanasia può essere soltanto attiva per lo stesso significato del termine, secondo tutta la letteratura scientifica, dall'altra il concetto di eutanasia passiva è un errore metodologico, come dimostrato dallo studio dell'Istituto Mario Negri che semmai ha affrontato il concetto di desistenza terapeutica e non di eutanasia". A dirlo è Cristiano Samueli, medico e presidente dell'Associazione Italiana per le Decisioni di Fine vita (AIDeF). "Invito a leggere sul sito www.desistenzaterapeutica.it il comunicato stampa di Guido Bertolini dell'Istituto Mario Negri, che ha curato il primo e unico studio italiano sulla realtà della desistenza terapeutica in Italia- prosegue Samueli- e il cui titolo è 'La desistenza terapeutica non è eutanasia: evitiamo confusioni!'. Infatti, la desistenza da trattamenti inutili e futili da parte del medico rientra a pieno titolo nell'ambito dell'alleanza terapeutica medico-paziente- chiarisce l'esperto- di cui l'etica dell'accompagnamento del malato terminale è la massima espressione. D'altra parte, proprio la settimana scorsa a Mirano ho partecipato a un convegno sul testamento biologico e ho ricevuto la conferma pubblica da parte di Mina Welby sul fatto che la stragrande percentuale delle persone scambiano il concetto di eutanasia con quello di accompagnamento, che è ben altra cosa. Queste affermazioni, dunque, dimostrano come ormai diventi sempre più importante affrontare con un corretto bagaglio culturale il fine vita- conclude il presidente AIDeF- per non continuare a far soffrire iniquamente i malati inguaribili e le loro famiglie".
(Wel/ Dire)