Tommaso Romani: "Siamo un po' come medici senza frontiere, un pronto soccorso dell'anima"
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 24 feb. - "La comunità di tipo familiare è un dispositivo di aiuto che accoglie adolescenti in difficoltà. Le fondamenta epistemologiche di tale dispositivo vanno ricercate nel lavoro di Bowlby Maternal care and mental health del 1951, nell'esperienza di Winnicott durante la seconda guerra mondiale presso gli istituti per bambini evacuati dalla città (1958) e nel lavoro di Bion del 1942 presso il Northfield Hospital coi traumatizzati di guerra, nelle coraggiose sperimentazioni in cliniche manicomiali statunitensi di psichiatri psicoanalisti della portata di Searles (Ferruta et al. 1998; Ferruta et al. 2012). In Italia le comunità di tipo familiare vedono le loro origini nel lavoro di Basaglia e nelle politiche di deistituzionalizzazione. L'adolescente accolto quindi non è più internato, ma svolge la sua vita e il suo progetto nel territorio". A spiegarlo è Tommaso Romani, laureato in filosofia e psicologia, corsista dell'Associazione Romana per la Psicoterapia dell'Adolescenza e del Giovane Adulto (ARPAd)e responsabile area progetti della cooperativa 'Il Funambolo'.
COME SI ACCEDE E QUALI SONO I MOTIVI CHE PORTANO UN ADOLESCENTE AD ANDARE IN CASA FAMIGLIA - "Alla casa famiglia si accede tramite il servizio sociale del territorio di residenza. Spesso le situazioni dei nostri ragazzi sono segnalate al Tribunale dei minori, il quale emette un decreto di collocamento in comunità. Si sarebbe portati a pensare a gravi situazioni di disagio sociale- continua lo psicoterapeuta- ma sempre più spesso ospitiamo ragazzi con alle spalle un affidamento o un'adozione fallita. Sempre comunque abbiamo a che fare con giovani che hanno vissuto traumi cumulativi nel prime fasi dello sviluppo, una ferita all'origine, che in adolescenza emerge con molta angoscia e dirompe, portando la loro psiche a un funzionamento al limite. Adolescenti che per vivere, piagati e piegati dal dolore psichico, agiscono presso di noi i loro sintomi. Ciò accomuna un ragazzo di San Basilio, un giovane emigrato con una storia traumatica alle spalle e l'adolescente adottato della Roma bene". CHE DISPOSITIVO DI AIUTO È LA CASA FAMIGLIA - "Dicevamo che i ragazzi agiscono presso di noi i loro sintomi. Questo è un punto fondamentale", ricorda Romani. La casa famiglia è "una macchina per produrre l'atto (Baranes 1994), nel senso che i ragazzi hanno la possibilità di agire in comunità i loro sintomi per essere da noi per loro dotati di significato e trasformati. L'agito è un gesto di speranza e la casa famiglia opera attraverso questo nel senso di una riduzione e di una trasformazione del dolore psichico. IL gruppo rende pensabili e rappresentabili elementi pulsioniali e istintualità altrimenti impensabili.Questo è un secondo punto metodologicamente importante. La comunità- aggiunge l'operatore- opera attraverso il piccolo gruppo. La mente in stato limite (Green 1990) mantiene il funzionamento gruppale primitivo dell'Orda descritto da Freud (1916, 1921), in cui le unità soggettuali costitutive dell'Io secondo il modello de 'L'Io e l'Es' (Freud 1922) mantengono tra loro una sostanziale condizione di anonimato. Da ciò conseguirebbe che qualsiasi altra 'cura classica' risulti tendenzialmente fallimentare, perché non sarebbe risolvibile nell'ambiente di lavoro ed aiuto, ove essa venga applicata, la confusione tra oggetti reali e oggetti del passato, tra realtà psichica e realtà tout court (Cahn 1999)".
Per il gruppo 'slegato' che "corrisponderebbe alla psiche di un singolo assistito, non risulta infatti 'significante' il pensiero e l'opera di un singolo operatore - assistente sociale, psicologo, giudice, psicoterapeuta, educatore, insegnante ecc. - e lo diverrebbe invece per una sorte di 'induzione psichica' il gruppo presente nella mente del professionista o, ancora più significativo, il lavoro di un gruppo di aiuto che realmente si relazioni con lui. Quindi, come sopra accennato- afferma l'esperto del lavoro in casa famiglia- se i nostri ragazzi proiettano parti di se stessi non integrabili tra loro in un gruppo capace di integrarsi nel rispetto delle diversità, la mente gruppale dell'adolescente o del bambino, proiettata a sua volta in quella di tale gruppo di adulti, potrà iniziare ad integrarsi (Bion 1961)".
COME SI STRUTTURA UNA PSICOTERAPIA IN CASA FAMIGLIA - In casa famiglia "tutto è psicoterapia. Applichiamo il modello psicoanalitico 'a bassa soglia' per cui preparare la cena, il momento in cui ci si prepara per la notte, le vacanze estive, la sveglia la mattina, tutto ciò di cui si fa esperienza insieme diviene psicoterapeutico per i nostri giovani. In un secondo momento- sottolinea Romani- quando le cose andranno meglio, il ragazzo potrà accedere a un dispositivo di aiuto 'più classico'. Ma in prima battuta noi siamo un po' come medici senza frontiere: un pronto soccorso dell'anima che opera in condizioni limite attraverso il gruppo, attraverso transfert concreti e la capacità di tollerare livelli di indifferenziazione per portarli ad altri livelli di maggiore integrazione. In ciò ha un ruolo importante, come si sarà intuito, il gruppo- ripete lo psicologo- il quale è il principale strumento psicoterapeutico della casa famiglia. Con ciò non si deve intendere una psicoterapia di gruppo istituzionale, che per i nostri giovani non sarebbe significativa, ma quei gruppi spontanei che l'abilità dell'operatore sa creare dopo cena, quando si parla tutti insieme davanti a un caffè, il gruppo che si crea l'estate al mare quando si torna a piedi dalla piscina, così come le chiacchiere in macchina quando li porto a scuola la mattina".
CASA FAMIGLIA COOPERATIVA IL FUNAMBOLO - "La nostra casa famiglia si chiama Rosa Luxemburg ed è una classica villetta nella campagna di Capranica con un bellissimo orto. Ospita 8 adolescenti, sia maschi che femmine.In essa i ragazzi vivono la loro adolescenza e sviluppano un progetto di vita". Sono accompagnati da un "gruppo di adulti (quasi tutti psicologi e qualche educatore), che come un clan fa gruppo- precisa lo psicoterapeuta- e si occupa di loro. Il nostro gruppo è molto affiatato e lavora insieme da ormai una decina di anni. Abbiamo collaborato con il Comune di Roma, ma anche con altri comuni italiani. Investiamo molto nella formazione e nella supervisione, perché non ci si improvvisa, nonché nell'impegno scientifico per far conoscere il lavoro che si svolge nei piccoli gruppi in casa famiglia.Abbiamo partecipato a diversi convegni e organizziamo spesso eventi di sensibilizzazione, nonché un film (Supermanz) che ha visto i nostri giovani protagonisti. Questo credo- conclude Romani- faccia molto bene ai ragazzi, in quanto valorizza e dà nobiltà al lavoro instancabile che loro fanno su loro stessi. Al centro di questo discorso ci sono loro: i ragazzi e le ragazze di Rosa Luxemburg, i veri eroi".
(Wel/ Dire)