Roma, 25 set. - La prevalenza del diabete di tipo 2 negli adolescenti e nei giovani sotto i 40 anni aumenta di anno in anno notevolmente. Negli Usa le stime parlano di un aumento annuale del 2,3% di diabete di tipo 2 negli under 30, dal 2010 ad oggi e si prevede che il numero di giovani con diabete di tipo 2 sia destinato a quadruplicare entro il 2050. "Mancano dati italiani ufficiali - riflette il professor Francesco Purrello, presidente della Societa' Italiana di Diabetolgoia - ma estrapolando il dato americano al nostro Paese, e' possibile stimare che negli ultimi 10 anni la popolazione dei giovani con diabete di tipo 2 (una forma tipica dei loro padri o addirittura dei loro nonni) e' raddoppiata, arrivando a interessare circa 150.000 soggetti".
A predisporre i ragazzi al 'diabete dei nonni' sono i 'soliti noti': obesita', storia familiare e stile di vita sedentario. Al congresso dell'EASD (European Association for the Study of Diabetes, a Barcellona) un'intera sessione e' stata dedicata a questo problema emergente.
"I dati scientifici finora prodotti - afferma il professor Purrello - dimostrano che in questa fascia di eta' il diabete e' piu' aggressivo. L'insorgenza di questa condizione in giovane eta' si associa inoltre ad un aumentato rischio di complicanze croniche, sia macro che micro-vascolari, legate ad un periodo maggiore di esposizione agli elevati livelli di glicemia. Il diabete di tipo 2 a esordio giovanile ha inoltre un fenotipo patologico piu' aggressivo, che porta allo sviluppo prematuro di complicanze, con effetti negativi sulla qualita' della vita e effetti sfavorevoli sugli esiti a lungo termine".
Il diabete di tipo 2 nei giovani e' associato a grave resistenza all'insulina, e ad un rapido deterioramento della funzionalita' delle cellule beta pancreatiche che e' da tre a quattro volte piu' veloce rispetto a quanto osservato nell'adulto; anche i tassi di fallimento terapeutico sono significativamente piu' alti nei giovani che negli adulti.
Le opzioni terapeutiche per questa condizione sono fortemente ridotte, e gli studi disponibili ancora pochi. Oltre alle modifiche dello stile di vita, di importanza fondamentale, la metformina rimane la terapia di prima linea per gli adolescenti con diabete di tipo 2; ma la maggior parte di questi ragazzi progredisce rapidamente verso il fallimento terapeutico e approda dunque alla terapia insulinica.
Anche uno studio presentato al 55esimo congresso dell'EASD (Professor Sanjoy Ketan Paul, Universita' di Melbourne), conferma l'aumento di casi di diabete di tipo 2 a comparsa precoce, dall'inizio di questo secolo. Analizzando l'enorme database delle cure primarie inglesi, sono stati individuate 370.854 persone alle quali e' stato diagnosticato il diabete di tipo 2 a partire dall'inizio di questo secolo. L'eta' media dei soggetti con nuova diagnosi di diabete da inizio secolo e' 53 anni, ma l'11% appartiene alla fascia 18-40 anni e il 16% a quella 41-50. La percentuale dei giovani (fascia d'eta' 18-40) con diabete di tipo 2, nei 17 anni di osservazione dello studio e' passata dal 9,5 al 12,5%. In altre parole, in Gran Bretagna oggi un nuovo caso di diabete di tipo 2 su 8 compare nella fascia d'eta' 18-40 anni (all'inizio del secolo i 'tipo 2' in questa fascia d'eta' erano 1 su 10).
Gli autori hanno estratto i dati relativi a misure antropometriche, cliniche e di laboratorio e alle comorbilita' al momento della diagnosi di diabete di tipo 2; sono andati quindi a valutare nell'arco di un follow up di 7 anni, la comparsa di eventi cardiovascolari (CVD) e di mortalita' per tutte le cause. I 'tipo 2' piu' giovani presentano un indice di massa corporea (BMI) significativamente piu' elevato degli altri (in media 35 Kg/m2) e il 71% di loro e' obeso, presentano delle glicemie piu' elevate (l'emoglobina glicata media e' 8,6%) e piu' elevati livelli di LDL (il 71% = 100 mg/dL) rispetto ai diabetici piu' anziani. Nel gruppo dei giovani inoltre uno su tre e' risultato iperteso, il 2% presenta CVD e il 4% malattia renale cronica. Ben uno su 4 e' risultato d aumentato rischio cardiovascolare.
Per proteggere questi giovani dalle complicanze dalla mortalita' cardiovascolare a lungo termine e' dunque necessario adottare strategie di intervento piu' aggressive. "L'onere della prevenzione - conclude il professor Purrello - non ricade solo sui medici, ma inizia dalla famiglia, dalla scuola, dai responsabili delle politiche sanitarie, e coinvolge varie componenti della societa', inclusa l'industria alimentare".
(Red)