Roma, 15 ott. - Uno studio italiano, che ha analizzato i dati di piu' di 6.000 pazienti, e' stato presentato al 33esimo Congresso annuale della societa' europea di cardiochirurgia, a Lisbona, alla presenza di piu' di 4.000 cardiochirurghi provenienti da tutto il mondo. La ricerca ha riletto criticamente i risultati ottimistici di recenti studi che confrontavano i risultati di due diversi trattamenti nella cura della stenosi valvolare aortica, la patologia degenerativa piu' frequente. È stato possibile evidenziare come la nuova tecnica trans-catetere (TAVI), rispetto all'impianto di una valvola con intervento cardiochirurgico tradizionale (SAVR), e' associata a un maggior rischio di mortalita' a distanza, che risulta particolarmente evidente dopo i tre anni, 40 mesi per la precisione. Rischio che, se associato a pazienti con una lunga aspettativa di vita (tendenzialmente tra i 60 e i 75 anni di eta'), potrebbe fare davvero la differenza. In negativo.
Gli studi prospettici randomizzati hanno mostrato nel breve termine buoni risultati inizialmente nei pazienti ad alto rischio, e successivamente anche in quelli a rischio minore. Poco o nulla in realta' si sapeva in merito ai risultati a lungo termine. Questo ha comportato una costante espansione di tale tecnica ai casi con pazienti sempre piu' giovani e dal minore rischio di coesistenza di patologie diverse nello stesso individuo. "La diffusione sperimentata negli ultimi anni non e' supportata da evidenze scientifiche incontrovertibili, che dimostrino risultati a lungo termine paragonabili a quelli gia' dimostrati per la procedura classica chirurgica", ha spiegato Fabio Barili, componente della 'Fondazione Cuore Domani', onlus della Societa' italiana di chirurgia cardiaca (SICCH), primo autore della ricerca presentata nella capitale portoghese.
"Il nostro studio, mediante sofisticati strumenti metodologici matematico-statistici e' stato concepito con l'obiettivo di raccogliere tutta la documentazione scientifica di confronto sulle due opzioni terapeutiche. Abbiamo cosi' dimostrato- ha aggiunto Barili- che non esistono, al momento, evidenze che possano giustificare l'adozione della nuova tecnica trans-catetere in maniera cosi' ampia come sperimentato ai giorni nostri. Se e' vero che l'essere sottoposti al nuovo approccio meno invasivo rappresenta nei primi mesi un fattore protettivo, i risultati a lungo termine, gia' dopo poco piu' di tre anni, sono nettamente in favore dell'intervento chirurgico classico, che garantisce una maggiore sopravvivenza".
La ricerca presentata oggi, ha evidenziato Gino Gerosa, presidente della SICCH, "testimonia ancora una volta l'importanza e la solidita' della ricerca scientifica portata avanti dai nostri cardiochirurgi. Un lavoro che sta gia' ottenendo un generale apprezzamento nell'ambito della comunita' internazionale, e che rappresenta un valido aiuto per garantire i piu' elevati standard di sicurezza nella cura delle malattie cardiovascolari, nella fattispecie nella lotta contro la stenosi valvolare aortica. Il tutto, va rimarcato, con un unico obiettivo comune: la salute dei cittadini, da sempre la nostra 'mission'. L'introduzione delle nuove tecnologie richiede una valutazione continua e puntuale dei risultati. La nostra Societa' ritiene questo essere un suo preciso e irrinunciabile dovere morale nei confronti dei pazienti e del Sistema sanitario nazionale".
Ha infine sottolineato Alessandro Parolari, presidente di 'Cuore Domani': "In quanto clinici, tutto il nostro lavoro e' stato guidato dall'unico scopo di dare un contributo obiettivo che possa essere dirimente sulla definizione della migliore opzione terapeutica per il singolo paziente. Consci che, a livello comunitario, tali scelte terapeutiche hanno una ricaduta economica in termini di razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse, ahime' limitate, allocate ai Sistemi sanitari nazionali. La scelta della migliore opzione terapeutica di fatto ottimizza l'impiego delle risorse economiche".
Per parolari "non c'e' dubbio che il risultato da noi ottenuto sia soggetto a quelle che potranno essere le nuove evidenze scientifiche che, inevitabilmente, andranno a modificare ulteriormente la pratica clinica. In questo nostro mondo, in continua evoluzione, che chiamiamo medicina- ha concluso- abbiamo l'obbligo di tenere sotto costante monitoraggio i risultati dei nostri interventi".
(Red)