Roma, 7 ott. - Non e' il medico a dover provare la corresponsabilita' della clinica in caso di risarcimento del danno a un paziente, ma la clinica che deve provare semmai che quanto accaduto sia dovuto solo all'imperizia del medico. Per questo principio la Cassazione (ordinanza 24167/2019) ha rinviato alla Corte d'Appello una sentenza che aveva chiesto al sanitario di provare la colpa della struttura in una causa di risarcimento danni.
IL FATTO Una paziente ha portato in giudizio la casa di cura dove era stata operata per l'inserimento di una protesi all'anca, chiedendo il risarcimento dei danni riportati per la non corretta esecuzione dell'intervento chirurgico. La struttura ha allora chiamato in causa il medico come resposnabile dell'intervento e il Tribunale ha accolto la domanda di risarcimento della paziente, dichiarando la responsabilita' della casa di cura e del medico e li condannava a risarcire i danni nella misura di euro 122.000 circa.
La casa di cura si e' appellata perche' il Tribunale non si era espresso sulla sua domanda di caricare la responsabilita' sul solo medico perche' dalla ricostruzione dei fatti emergeva che il danno alla paziente era stato provocato solo dalla imperizia con la quale il medico aveva eseguito l'intervento chirurgico, e chiedeva quindi la sua condanna al rimborso di quanto pagato alla paziente in esecuzione della sentenza di primo grado.
La Corte d'Appello accoglieva il ricorso della casa di cura sottolineando che alla responsabilita' esterna della struttura prevista per dare maggiore garanzia ai danneggiati (art. 1228 c.c.) si associava nei rapporti interni l'ammissibilita' del regresso anche per l'intera somma che il responsabile era stato condannato a pagare se fosse stato accertato che il danno fosse riconducibile unicamente alla condotta colposa del medico e che questa circostanza era stata accertata in primo grado e che il medico non avesse provato, e neppure evidenziato quale fosse la responsabilita' della clinica.
L'ORDINANZA Per la Cassazione pero' se la struttura sanitaria, "correttamente evocata in giudizio dal paziente" che, instaurando un rapporto contrattuale, si e' sottoposto a un intervento chirurgico al suo interno, sostiene che l'esclusiva responsabilita' dell'accaduto non e' imputabile a sue mancanze tecnico organizzative, ma solo alla imperizia del chirurgo che ha eseguito l'operazione, chiedendo di essere esentata dal pagare quanto eventualmente fosse condannata a fare nei confronti della paziente e del chirurgo, deve provare l'esclusiva responsabilita' di questo.
"Non rientra invece nell'onere probatorio del chiamato - si legge nell'ordinanza - l'onere di individuare precise cause di responsabilita' della clinica in virtu' delle quali l'azione di regresso non potesse essere, in tutto o in parte, accolta".
La Cassazione ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso della clinica, accettando che la Corte d'Appello avrebbe violato la regola "sulla distribuzione degli oneri probatori, avendo posto in capo al medico l'onere di provare in cosa consisteva la corresponsabilita' della clinica".
Quindi i giudici hanno cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte d'Appello in diversa composizione per il riesame dei fatti "conformandosi al principio di diritto enunciato". In sostanza, se la struttura sanitaria, in caso di una responsabilita' solidale, agisce in regresso (facendo ricadere tutta la colpa sul medico) nei confronti del medico, affinche' nei loro rapporti interni si accerti l'esclusiva responsabilita' di questo nel causare il danno, e' lei a dover provare questa responsabilita' esclusiva e "non rientra invece nell'onere probatorio del chiamato (il medico) l'onere di individuare precise cause di responsabilita' della clinica in virtu' delle quali l'azione di regresso non potesse essere, in tutto in parte, accolta".
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(Red)