Roma, 19 lug. - Correre piu' volte lo stesso rischio, nonostante se ne conosca l'origine, puo' configurare per il medico imperizia e imprudenza. In questo senso la Cassazione (sentenza 33405/2018) ha accolto il ricorso del Pm e delle parti civili contro l'assoluzione di un'anestesista, accusata di aver provocato la morte di bimbo di 17 mesi dopo aver tentato per sette volte di incannulare le vene del collo del paziente, anche se in assenza di un rischio immediato di vita e nell'ambito di un intervento programmato.
IL FATTO Una anestesista, non in situazione di emergenza e in condizioni discrete del paziente, ha tentato piu' volte di incannulare la vene giugulare di un piccolo paziente e solo dopo l'ennesimo, infruttuoso tentativo si e' verificata l'insorgenza di difficolta' respiratorie e le sue condizioni sono divenute critiche fino al decesso.
Il consulente autoptico ha affermato che e' raccomandabile non ripetere dopo due tentativi falliti e che la morte del piccolo paziente e' stata causata dalla condotta censurabile di chi, una volta risultato infruttuoso l'accesso chirurgico a livello della regione prossimale della coscia sinistra, provo' a trovare un'altra vena sia sugli arti che nella giugulare interna.
Quest'ultima ha provocato un emotorace bilaterale, causa della morte. La sentenza, in base alle risultanze dei periti, spiega che aumentando i tentativi infruttuosi di incannulamento di un vaso centrale, aumentano i rischi di attualizzare la complicanza. Gia' con cinque tentativi falliti si hanno complicanze di natura meccanica, come la perforazione delle cupole pleuriche e l'emotorace, in una percentuale pari ail'85% dei casi circa. In questo caso le prove di reperimento delle giugulari interne sono state sette ed e' quindi chiaro che la complicanza dell'emotorace bilaterale, con cosi' tanti tentativi falliti, aveva un rischio molto elevato di verificarsi, con conseguenze letali.
A cio' si aggiunga la notevole difficolta' tecnica di' esecuzione nei pazienti di basso peso, come era il piccolo che a 17 mesi pesava solo 6,5 kg, a causa degli spazi anatomici ridotti, della natura del tessuto cutaneo e sottocutaneo e della mobilita' del vaso e della relativa tortuosita'. Difficolta' che aumentavano ulteriormente la probabilita' di causare complicanze letali e che avrebbero dovuto suggerire, secondo la sentenza, "un atteggiamento piu' prudente e attendista, non essendovi indicazioni per un intervento d'urgenza".
LA SENTENZA Per la Corte d'Appello l'omicidio colposo andava escluso per insussistenza del fatto. La Corte territoriale aveva escluso l'imperizia sulla base delle relazioni dei perito nominati dal Gip, che avevano evidenziato la grande difficolta' tecnica dell'incannulazione della giugulare e l'elevatissimo rischio di trombosi.
Ma la Cassazione non e' stata d'accordo. E poiche' il fatto e' accaduto nel 2007 quando non c'erano ne' la legge Balduzzi, ne' la Gelli-Bianco, esclude la possibilita' di applicare la norma in vigore allora, perche' meno favorevole in quanto priva di distinzioni sul grado di colpa.
Secondo la Cassazione e' anche impossibile applicare l'articolo 560-sexies del codice penale previsto, appunto, dalla legge 24/2017 per la parte che riguarda le linee guida. La norma e', infatti, chiara nel subordinare l'operativita' all'emanazione delle linee guida in base a un articolato iter di elaborazione. L'applicazione dell'articolo 590-sexies dovrebbe dunque essere limitata alla parte in cui richiama le buone pratiche assistenziali. Per quanto riguarda la legge Balduzzi, la Cassazione sottolinea che questa escludeva la responsabilita' penale solo in caso di rispetto "dell'arte medica".
Per la Cassazione quindi le motivazioni della Corte di Appello non hanno considerato se la manovra del medico fosse in quell'anno oggetto di linee guida e cosa queste prescrivessero nel caso di un paziente del peso di poco piu' di sei chili. In assenza di linee guida poi non hanno verificato l'esistenza delle buone pratiche clinico assistenziali.
Secondo la Cassazione il medico non poteva ignorare i rischi di una manovra che secondo i periti non andava tentata piu' di due volte. E se anche il medico non fosse imputabile di imperizia, resterebbe in piedi la tesi dell'imprudenza.
Secondo la sentenza poi e' "del tutto assente dalla trama argomentativa della pronuncia impugnata la tematica inerente alla possibilita' o meno di interpellare, per l'effettuazione della manovra, in considerazione dell'esito infruttuoso dei primi tentativi, uno specialista piu' esperto. Non puo' pertanto affermarsi che i giudici di secondo grado siano pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico giuridico immune da vizi, sotto il profilo della razionalita' e sulla base· di apprezzamenti di fatto esenti da connotati di contraddittorieta' o di manifesta illogicita' e di un apparato logico coerente con una esauriente analisidelle risultanze agli atti".
"Si impone quindi - conclude la sentenza - nel caso in esame, un pronunciamento rescindente. Il reato, risalente al 17-12-2007, e' pero' estinto per prescrizione, onde l'ulteriore prosieguo va devoluto alla cognizione del giudicecivile.
La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio agli effetti penali perche' il reato e' estinto per prescrizione. La medesima sentenza va annullata agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui va demandata pure la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio diCassazione".
Reato prescritto quindi, ma assoluzione annullata per un nuovo verdetto agli effetti civili, nel quale dovra' essere valutato anche il grado di colpa.
(leggi la sentenza)
(Wel/ Dire)