(DIRE) Roma, 8 giu. - Su 10 milioni di pazienti ricoverati ogni anno negli ospedali italiani, circa il 6% contrae un'infezione ospedaliera durante la degenza e l'1% di questi 600.000 andra' incontro al decesso. In sintesi, le infezioni ospedaliere come polmoniti o setticemie (tecnicamente definite Ica, "Infezioni correlate all'assistenza" sanitaria, quindi che non erano manifeste ne' in incubazione al momento del ricovero) causano direttamente almeno 6000 morti l'anno. Per dare un'idea delle dimensioni del fenomeno, i decessi causati dagli incidenti stradali non raggiungono neanche lontanamente quel numero. Numero che salirebbe ancora se venissero calcolati i decessi causati "indirettamente" dalle Ica. Secondo il Report dello Studio Chiarini, circa la meta' delle morti da Ica si eviterebbe con una corretta prevenzione che tutti gli ospedali sarebbero chiamati a rispettare.
Ed e' una questione non da poco, quella dell'"evitabilita'", come avverte l'avvocato Gabriele Chiarini: "Le piu' recenti revisioni critiche delle misure preventive delle Ica evidenziano il ruolo centrale della sterilita' degli operatori e delle strumentazioni durante l'assistenza al malato. L'infezione va ricondotta non solo al luogo, ma anche alla procedura". Non va quindi considerata solo l'eventuale inadeguatezza dell'ospedale, ma anche quella di ogni operatore sanitario. I piu' frequenti veicoli di trasmissione delle infezioni ospedaliere sono infatti: le mani degli stessi operatori sanitari; gli oggetti che vengono in contatto con ferite o ustioni come aghi o bisturi, o quelli che entrano in contatto con mucose integre come endoscopi o portaimpronte odontoiatrici; gli oggetti di uso quotidiano come fonendoscopi o barelle; infine le pareti, i pavimenti, i sistemi di ventilazione e la rete idrica. In caso di contenzioso e' comunque la Struttura Sanitaria ad avere l'onere di fornire una documentazione completa che dimostri che siano state rispettate le piu' idonee ed efficaci misure atte a prevenire il contagio.
Il Report, frutto della lunga esperienza dello Studio Chiarini nelle procedure di risarcimento per i danni derivati dalle Ica, evidenzia come spesso la questione delle infezioni ospedaliere sia oltretutto "complicata da errori nella scelta della profilassi antibiotica, talvolta determinati anche da scelte di risparmio economico; tardiva diagnosi dell'Ica, spesso conseguente a disfunzioni e/o carenze organizzative; inidoneo trattamento dell'Ica, che produce lo sviluppo di resistenze agli antibiotici, che diventano cosi' inidonei ad arrestare l'evoluzione sistemica, anche letale, dell'infezione".
"I dati raccolti- nota l'avvocato Chiarini- suggeriscono l'opportunita' di riportare il tema al centro del dibattito sul nostro Sistema Sanitario, notoriamente provato da una cronica carenza di risorse. La puntuale attuazione delle misure di prevenzione del rischio infettivo, infatti, consentirebbe non soltanto di promuovere la salute dei pazienti e salvare molte vite umane, ma anche di ridurre i costi connessi alle cure aggiuntive e agli indennizzi da erogare ai pazienti che abbiano contratto una Ica".
Un'attuazione che renderebbe finalmente giustizia ai progressi ottenuti da quando, un secolo e mezzo fa, si scopri' la necessita' di lavarsi le mani e sterilizzare gli strumenti medici.
(Wel/Dire)