Roma, 3 apr. - La Corte di Cassazione con l'ordinanza 7044/2018, ribadisce il concetto del corretto riparto dell'onere della prova nel caso di responsabilita' contrattuale della struttura sanitaria. E conferma il principio secondo il quale il paziente ha l'onere di provare il nesso di causalita' tra la malattia, il suo aggravamento o una eventuale nuova patologia subentrata e la condotta commissiva o omissiva dei medici. Una volta provato il nesso di causalita', la palla passa alla struttura sanitaria che deve provare che la prestazione medica richiesta era risultava impossibile perche' l'inadempimento e' stato causato da una evenienza imprevedibile, oltre che inevitabile, secondo le regole di "comune diligenza".
IL FATTO Due coniugi hanno portato in giudizio l'azienda sanitaria locale e alcuni medici del presidio ospedaliero, chiedendo il risarcimento del danno alla salute della figlia nascitura per le gravi patologie cerebrali contratte in funzione del ritardo con cui era stato effettuato il parto cesareo, con conseguente sofferenza fetale.
Il Tribunale prima, e la Corte d'Appello di Firenze poi, hanno rigettato la richiesta in base alla CTU dalla quale era emerso che da parte dei medici non c'era stata alcuna "negligenza, imperizia e imprudenza", e che non esisteva "relazione e nesso causale tra le lesioni e gli esiti invalidanti subiti dalla bambina e la condotta dei medici".
E questo perche' il danno non e' connesso "a un inadempimento della struttura ospedaliera per inadeguata organizzazione del servizio". I genitori hanno fatto ricorso in Cassazione aggiungendo anche le accuse di violazione e/o falsa applicazione degli art. 1176, 1218 e 2697 Cc, per "errata applicazione dei principi in punto di nesso di causalita' e di onere probatorio".
Questo perche' secondo il ricorso in Cassazione il giudice avrebbe invertito l'"onere probatorio" in mancanza di elementi che potessero provare che la patologia cerebrale si fosse verificata prima del parto e perche' a questo punto toccava ai medici e alla azienda sanitaria la prova dell'assenza di un loro inadempimento.
L'ORDINANZA Secondo la Cassazione pero' questo motivo sarebbe infondato non avendo la corte territoriale operato alcun inversione dell'onere probatorio. Ma ricorda anche il principio per cui "in tema di responsabilita' contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalita' tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilita' della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento e' stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza".
Quindi il ricorso e' stato rigettato e i ricorrenti condannati a pagare le spese del giudizio di legittimita'. La Cassazione infatti gia' in precedenza aveva stabilito che "e' onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario e' stata, secondo il criterio del 'piu' probabile che non', causa del danno, sicche', ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata".
E proprio nei casi del danno da nascita indesiderata, la Cassazione ha stabilito come "il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l'onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facolta' d'interrompere la gravidanza - ricorrendone le condizioni di legge - ove fosse stata tempestivamente informata dell'anomalia fetale; quest'onere puo' essere assolto tramite 'praesumptio hominis', in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all'opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all'aborto per qualsivoglia ragione personale". (Cass. n. 25849/2017).
Secondo la Cassazione il ricorso e' infondato perche', conclude la sentenza, "censura l'asserita inversione degli oneri probatori inerenti alla materia della responsabilita' sanitaria e, segnatamente, in punto di nesso causate, giacche la Corte territoriale - in forza di un accertamento positivo (e diffusamente argomentato in base alle risultanze di causa) sulla insussistenza della relazione causate 'tra le lesioni e gli esiti invalidanti subiti dalla bambina e la condotta dei medici', nonche' tra danno cerebrale e 'inadempimento della struttura ospedaliera per inadeguata organizzazione del servizio' - ha confermato il rigetto delle domande attoree in armonia con il principio per cui (anche) in tema di responsabilita' contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalita' tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilita' della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento e' stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza".
"E poi - continua la Cassazione - , inammissibile la' dove le doglianze, lungi dal palesarsi come deducenti un error in iudicando, investono l'apprezzamento di fatto del giudice di merito, senza neppure farne oggetto di sindacato à; la memoria depositata dai ricorrenti, nel ribadire quanto esposto con i motivi di impugnazione, non e' in grado di scalfire i rilievi che precedono; ii ricorso va, dunque, rigettato e i ricorrenti condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese de! giudizio di legittimita', come liquidate in dispositivo in conformita' ai parametri di cui al Dm n. 55 de! 2014".
(leggi la sentenza)
(Wel/ Dire)