(DIRE) Roma, 11 ott. - "Oggi in ginecologia abbiamo il primo vaccino per un tumore, quindi noi dobbiamo spingere molto perche' venga sistematicamente praticato. Se noi praticassimo sistematicamente il vaccino, infatti, il cancro al collo dell'utero sarebbe un problema finito, il che vuol dire 25mila morti in meno in Europa e oltre 50mila casi in meno all'anno.
Questo sarebbe un problema superato, basterebbe vaccinarsi". Cosi' il presidente della Societa' italiana di Ginecologia e Ostetricia, Giovanni Scambia, in occasione della presentazione del decalogo sulle 'buone pratiche in ginecologia, presentato a Roma nel corso del Congresso nazionale congiunto delle societa' scientifiche Sigo, Aogoi (Associazione Ostetrici Ginecologi ospedalieri italiani) e Augui (Associazione Ginecologi universitari italiani), in corso nella Capitale.
"Poi abbiamo il vero problema della ginecologia oncologica che e' il tumore dell'ovaio- ha proseguito Scambia- e noi oggi sappiamo che almeno il 20% dei casi sono di base familiare, quindi se noi identificassimo le famiglie a rischio sarebbe molto semplice. Per chi ha avuto in famiglia un caso di tumore dell'ovaio o della mammella noi potremmo infatti prevenire almeno 1.200 dei 5mila casi di tumore ovarico che abbiamo in Italia.
Oggi abbiamo gli strumenti, insomma, ma dobbiamo applicarli bene". Ma le donne sono sufficientemente informate rispetto ai percorsi di screening e di prevenzione per esempio dell'Hpv? "Secondo me oggi lo sono molto di piu'- ha fatto sapere il presidente di Sigo- noi abbiamo per esempio Regioni come la Basilicata, che ha una percentuale di persone che fanno la vaccinazione tra le piu' alte in Europa, e abbiamo addirittura la vaccinazione in tre eta' diverse, con un'adesione che supera il 90%".
Secondo Scambia, dunque, si tratta di una questione "di volonta' politica- ha sottolineato- e dobbiamo sempre ricordarci che per ogni tumore per cui abbiamo speso qualcosa nella prevenzione, abbiamo risparmiato poi tantissimo nella cura. Credo che non ci sia dubbio che dobbiamo lavorare in questo senso.
Basti pensare che un test genetico per identificare la familiarita' oggi costa 500 euro e che la cura per il tumore dell'ovaio costa invece centinaia di migliaia di euro, per cui ci rendiamo conto che non c'e' confronto". Dopo che una donna ha effettuato un test genetico in cui si e' e' riscontrato che possa avere un maggior rischio di contrarre neoplasie, intanto, vanno seguite delle linee guida precise. "Considerate che se una donna ha una mutazione del gene Brca, soprattutto Brca1- ha spiegato ancora Scambia- ha una probabilita' di contrarre il tumore dell'ovaio che e' dell'80% alla fine della sua vita, quindi quasi sicuramente sviluppera' un tumore dell'ovaio. Per cui le linee guida dicono che superati i 35 anni, in donne che hanno completato la loro storia riproduttiva, si possa praticare un'asportazione delle ovaie e, ricordiamocelo sempre, in queste pazienti la terapia sostitutiva ormonale si puo' fare".
Molti dei problemi che questo intervento evocherebbe, infatti, possono "tranquillamente essere superati con la terapia sostitutiva. Dobbiamo entrare in questa mentalita'- ha sottolineato il presidente Sigo- Diverso e' invece il tumore della mammella, dove il rischio e' di 5/6 volte superiore alla popolazione normale, e' un intervento un po' piu' complesso e si puo' discutere se farlo o meno, ma oggi esistono delle tecniche molto poco invasive e con ricostruzione perfetta- ha infine concluso- ed e' dunque una cosa che va proposta".
(Wel/Dire)