(DIRE) Roma, 6 nov. - Il medico che lavora in equipe non puo' sottrarsi dalla responsabilita' per il danno provocato a un paziente nel corso di un intervento chirurgico limitandosi a dare la colpa del sanitario che ha agito prima. A stabilirlo e' la Corte di Cassazione con la sentenza 50038/2017 del 31 ottobre scorso con cui i giudici hanno ricordato cosa comporta, dal punto di vista della responsabilita' professionale, la cooperazione tra piu' sanitari.
- IL FATTO - A causa di una trasfusione di sangue incompatibile si e' verificato il decesso di un paziente. Per la Corte d'appello, l'intera l'equipe andava condannata per omicidio colposo, perche' le condotte dei singoli sanitari si inserivano tutte nella stessa area di rischio: "Il rischio - si legge nella sentenza - riconducibile a ciascuna delle condotte non e' mai rischio nuovo ma e' sempre il medesimo, tipicamente evolutosi nei successivi passaggi verso l'evento gia' in origine prevedibile".
Posizione condivisa dalla Cassazione che pero' e' stata costretta ad assolvere due sanitari per estinzione del reato per prescrizione, mentre i ricorsi di altri due sono stati dichiarati completamente inammissibili e hanno quindi confermato la condanna per omicidio colposo nei confronti di un tecnico del Servizio trasfusioni dell'ospedale salernitano San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona e per un medico ortopedico dello stesso ospedale.
- LA SENTENZA - Secondo la Corte anche se il comportamento colposo e' stato tenuto da un altro sanitario, il medico che effettua un intervento in equipe non puo' invocare il principio di affidamento, neppure se le singole attivita' non sono contestuali. A ognuno e' chiesto il rispetto dei canoni di diligenza e prudenza richiesti dalle mansioni specificamente svolte. In piu', ogni medico deve osservare gli obblighi che derivano dalla convergenza di tutte le attivita' svolte dal gruppo verso l'unico e comune fine. La responsabilita', infatti, per i giudici "persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalita' ed imprevedibilita'". Di conseguenza, il medico che non ha osservato una regola precauzionale su cui si innesta la condotta colposa di un altro medico, non puo' sottrarsi da responsabilita' invocando il principio di affidamento.
Secondo la Cassazione, in conclusione, "risulta correttamente applicato (dalla Corte d'Appello, ndr) il principio secondo il quale "La cooperazione tra piu' sanitari, ancorche' non svolta contestualmente, impone ad ogni sanitario oltre che ii rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, l'osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attivita' verso ii fine comune ed unico, senza che possa invocarsi ii principio di affidamento da parte dell'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiche' la sua responsabilita' persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti ii carattere di eccezionalita' ed imprevedibilita'".
(Wel/ Dire)