(DIRE) Roma, 28 giu. - Dare voce alla sofferenza e' un potente antidolorifico. Trovare modi, tempi e parole per condividere il dolore e' una vera terapia, che puo' ridurne la percezione: lo dimostrano gli studi discussi in occasione del congresso "Dolore e sofferenza nell'anziano", organizzato dalla Societa' Italiana di Gerontologia e Geriatria - gruppo di studio "La cura nella fase terminale della vita" in collaborazione con la Conferenza Episcopale Italiana, secondo cui il dolore e' troppo spesso sottostimato e sottotrattato negli over 65, nella falsa convinzione che gli anziani lo tollerino meglio o che quasi non lo provino, soprattutto quando per colpa di patologie gravi come la demenza riuscire a trovare le parole o i gesti per esprimere la sofferenza e' ancora piu' difficile. Stando ai dati degli esperti, otto milioni di anziani sono affetti da una forma di dolore cronico severo, con cui si e' costretti a convivere quasi sempre da oltre un anno e che in un caso su due limita moltissimo la vita quotidiana; eppure il 60%, circa cinque milioni di over 65, non riceve alcuna cura per lenire le sofferenze anche se a volte basterebbero le parole e la condivisione per stare meglio, come mostra un recente studio pubblicato su Plos One secondo cui piu' si comunica il proprio dolore, meno si attivano le aree cerebrali dell'insula e della corteccia cingolata anteriore connesse alla percezione del dolore stesso.
"La parola e' cura: dare ascolto alle sofferenze puo' ridurre la percezione del dolore e questo e' molto importante nell'anziano, che spesso prova dolore nel piu' totale silenzio- osserva Flavia Caretta, Responsabile del Centro di Ricerca Promozione e Sviluppo dell'Assistenza Geriatrica all'Universita' Cattolica di Roma- Il medico deve ritrovare la dimensione della relazione e dell'ascolto attento e disponibile: se il racconto del paziente viene interrotto per la fretta del curante il malato da' molte meno informazioni sull'origine, la qualita', l'intensita' e la tipologia del dolore, portando a una sottostima della sofferenza che purtroppo e' molto frequente. Si tende infatti a pensare che gli anziani, solo perche' spesso non trovano le parole per dirlo, percepiscano il dolore meno rispetto agli altri e abbiano una soglia della sofferenza piu' elevata: non e' affatto cosi', non di rado l'assenza della rilevazione del dolore nell'anziano deriva piuttosto da una mancanza di formazione del personale di assistenza e dalla difficolta' nel misurarlo e valutarlo in pazienti che hanno patologie complesse come la demenza. Quest'ultima e' e sara' sempre piu' un'emergenza con l'invecchiamento della popolazione: il dolore pero' non sparisce solo perche' non c'e' piu' la memoria della sofferenza o perche' alcune componenti affettive si riducono, nel paziente con demenza il dolore e' avvertito in maniera diversa ma e' presente e deve avere diritto di ascolto e di cura".
Gli esperti sottolineano percio' l'importanza di valutare e riconoscere il dolore anche e soprattutto negli anziani con maggiori difficolta', adattando le scale di misurazione ai pazienti con demenza e utilizzando per esempio la scala Painad, Pain Assessment in Advanced Dementia, che tiene conto della postura e del linguaggio del corpo, delle espressioni del viso, dei vocalizzi, della respirazione e della consolazione: sono sufficienti cinque minuti di osservazione di questi cinque elementi non verbali, dando un punteggio a ciascuno da zero a due, per misurare in una scala da uno a dieci la gravita' del dolore anche nel paziente con demenza. L'ascolto della sofferenza infatti, narrata a parole o con i gesti, resta sempre la prima terapia. "Anche la neurofisiologia sta dimostrando che esiste un 'cervello sociale' che si attiva durante l'interazione con l'altro e che in ogni relazione, grazie per esempio ai neuroni specchio, si crea un legame funzionale reciproco che influenza chi narra e chi ascolta- interviene Massimo Petrini, Docente di Bioetica al Camillianum- Trattare l'altro come vorremmo essere trattati noi stessi ha percio' anche un fondamento scientifico nei processi neurofisiologici: l'essere umano ha per sua natura bisogno di interagire e relazionarsi con i propri simili e la condivisione del dolore non ha solo una motivazione compassionevole, ma una radice biologica. Il dolore colpisce il fisico, ma anche l'anima: stare accanto a chi soffre puo' ridurne la percezione, alzando la soglia del dolore stesso e divenendo terapia".
"Ogni domanda di cura racchiude non soltanto una richiesta di aiuto tecnico in vista del recupero della salute, ma anche un'esigenza di relazione- afferma Nicola Ferrara, presidente Sigg- Ignorare questa dimensione significa ridurre la medicina ad applicazione di una tecnica, trasformando il rapporto tra medico e paziente in una prestazione di servizi e dimenticando che e' in primo luogo l'incontro con una persona. Nell'anziano il dolore puo' essere correlato a malattie, ma anche a fenomeni psicologici e sociali come solitudine, lutto, fragilita'; il dolore non trattato, inoltre, pone il paziente in una condizione di vulnerabilita' e spesso di perdita della dignita'. Il dolore e' percio' un segno da decifrare che dobbiamo imparare a riconoscere, valutare, misurare per poterlo trattare in modo adeguato, ricorrendo alla farmacologia e a terapie non farmacologiche con un'attenzione globale alla persona. Il dolore non deve essere piu' un compagno scomodo e inevitabile dell'anziano".
(Wel/ Dire)