(DIRE) Roma, 23 feb. - "So che c'è stata la collaborazione di molti colleghi che hanno risposto a questo questionario che credo fosse impegnativo, ma non richiedeva più di una ventina di minuti per poterlo completare". Così Roberta Chersevani, presidente Fnomceo, a margine della presentazione dell''Indagine civica sull'esperienza dei medici in tema di aderenza alle terapie, con focus su farmaci biologici e biosimilari', svoltasi questa mattina a Roma.
Un medico su tre dichiara di non avere tempo sufficiente da dedicare ai pazienti per assicurare l'aderenza alle terapie, solo la metà si accerta che il proprio assistito abbia compreso le indicazioni su terapie e percorso di cura e delle sue eventuali difficoltà economiche, più di uno su tre si dice oberato dal carico burocratico. Per un terzo invece non è prioritario informare su alternative terapeutiche o sull'esistenza di farmaci equivalenti o biosimilari. Sono alcuni numeri dell''Indagine civica sull'esperienza dei medici in tema di aderenza alle terapie, con focus su farmaci biologici e biosimilari' realizzata da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato con il sostegno non condizionato di Assobiotec e il coinvolgimento dell'Agenzia italiana per il farmaco presentata a Roma. Uno studio condotto su un campione di 816 medici di cui 404 abilitati alla prescrizione di farmaci biologici e/o biosimilari, in modo da poter realizzare una rilevazione sul tema dell'uso di tali terapie.
Chi decide di cambiare la terapia al paziente lo fa in, un terzo dei casi, in libertà e autonomia e per rispondere meglio alle esigenze di cura e di successo delle terapie per il paziente; ma quasi uno su cinque (19%) dichiara di aver cambiato terapia per rispondere alle esigenze del Sistema sanitario nazionale (39%), per rispettare limiti od obiettivi di budget fissati dall'Azienda ospedaliera o Asl (35%), ma solo l'8% dei professionisti è al corrente dell'esistenza di delibere della Regione o della Asl che prevedono come saranno riutilizzati i risparmi derivanti dalla prescrizione di farmaci a minor costo.
"Non vorrei- ha spiegato Chersevani- che il tempo per la diagnosi subisse un tempario come magari altre prestazioni possono avere, il tempo per la diagnosi ci deve essere altrimenti verremmo meno al nostro impegno. Quello che però temo possa succedere è che quel tempo che noi ricordiamo nella relazione di cura è un argomento di cui parliamo nell'articolo 20 del nostro Codice deontologico: quello stare assieme, quel comunicare e condividere percorsi, forse su quello si rischia di dover andare un po' di corsa visto i ritmi che ci sono oggi in medicina. Sia per quanto concerne i medici di Medicina generale, che sono veramente oberati da tantissimi accessi dei loro pazienti, sia per i medici specialisti all'interno delle strutture ospedaliere. Vorrei che questo tempo non venisse meno perché è una professione che è legata proprio allo stare assieme, al condividere, all'empatia, alle spiegazioni, ai consigli e dovremmo aumentarlo il più possibile proprio per migliorare il rapporto. Quello che noi scriviamo nel nostro Codice che credo vada sempre ricordato- ha concluso Chersevani- è che il tempo della relazione di cura è già terapia, quindi già questo stare a comunicare è un primo percorso verso una terapia che si presume debba portare alla guarigione. Guai a ridurre il tempo".
(Wel/ Dire)