(DIRE) Roma, 18 mar. - Diversi studi scientifici dimostrano come il sonno e l'invecchiamento cerebrale siano strettamente correlati: da un lato dormire poco e male contribuisce al declino cognitivo e al rischio di demenza; dall'altro, durante la senilità, si assiste ad un'alterazione del ciclo sonno/veglia con maggiore vulnerabilità a stimoli esterni a causa della riduzione delle onde delta del sonno profondo, con conseguente maggior frammentazione del sonno. In occasione della 'Settimana mondiale del Cervello', dal 14 al 20 marzo, gli esperti della Sin (Società italiana di Neurologia) richiamano l'attenzione sui numerosi studi scientifici che dimostrano come il cervello, a differenza di altri organi, migliori il proprio funzionamento in proporzione al lavoro effettuato e non risenta, quindi, di un particolare processo di usura correlato al suo impegno continuo.
"Una riduzione dell'efficienza cognitiva- spiega Leandro Provinciali, presidente Sin e direttore della Clinica Neurologica e del Dipartimento di Scienze Neurologiche degli Ospedali Riuniti di Ancona- potrebbe significare l'inizio di un decadimento cerebrale, ma i meccanismi di compensazione attuati sono tali che l'espressione clinica si realizza molto tardivamente rispetto ai cambiamenti biologici. In generale- sottolinea- è la memoria di episodi che viene inizialmente compromessa e, successivamente, la rievocazione di nomi propri. Quando persistono difficoltà delle abilità cognitive, quindi, soprattutto memoria e attenzione, è bene rivolgersi al neurologo che valuterà se indagare ulteriormente con esami specifici, qualora si escludano fattori esterni come disturbi del sonno, stress, alimentazione, farmaci etc".
Il sonno rappresenta quindi un'attività fondamentale per l'uomo: un terzo della vita, infatti, si trascorre dormendo. Ma non sempre si riesce a dormire bene, a causa di uno stile di vita frenetico, di comportamenti inadatti o di malattie del sonno, spesso ignorate o sottovalutate. "Fin dall'età giovanile- spiega ancora il professor Provinciali- il cervello riduce la sua componente più nobile, la quantità di neuroni: in pratica, a breve distanza dall'epoca in cui ha completato il proprio sviluppo inizia a perdere cellule ma, con l'apprendimento, crea nuove connessioni fra i neuroni". In realtà, prosegue Provinciali, i collegamenti fra i neuroni "rimangono attivi se impiegati con continuità, mentre il numero delle cellule decresce progressivamente- conclude- pur non compromettendole prestazioni fino all'età molto avanzata".
(Wel/ Dire)