Roma, 19 mag. - Se il paziente non comunica, anche perché non gli è stata diagnosticata in precedenza una patologia (in questo caso l'Mcs, Sensibilità chimica multipla) o un'allergia, il medico non ha colpa per le eventuali conseguenze. In particolare, quando sia esclusa la sussistenza di una prova certa circa il nesso di causalità tra la condotta contestata al medico e gli eventi lesivi denunciati, la formula assolutoria non può essere quella del "il fatto non costituisce reato", ma quella più ampia "il fatto non sussiste". Nessuna responsabilità per il medico, di conseguenza, quando gli effetti collaterali di una terapia possono avere spiegazioni in cause concomitanti derivanti da malattie rare o prima non diagnosticate.
Con questa indicazione di diritto, la IV sezione Penale della Cassazione, con sentenza n. 17656/2016 del 28 aprile, ha mandato assolto il medico dentista accusato di avere impiantato una protesi contenente dei metalli ai quali la paziente era risultata allergica. Una sentenza importante, perché per la prima volta, anche in ambito penale, viene riconosciuta l'esistenza della malattia Mcs, una patologia rara che fatica a trovare riconoscimento e che la maggior parte dei medici riconosce con difficoltà.
I fatti. La paziente, ottenne in primo grado dal tribunale di Messina la condanna del dentista per lesioni personali colpose per avere impiantato alla paziente una protesi contenente nichel, metallo al quale la paziente era allergica. La sentenza di primo grado fu riformata in appello con l'assoluzione del medico con la formula ½il fatto non costituisce reato».
Tale ultima formula, infatti, era stata adottata dalla corte territoriale ritenendo che non fosse stato dimostrato che le protesi impiantate contenessero quel materiale. Inoltre, in seguito, la paziente ebbe lo stesso problema con le protesi in titanio. Emerse che le allergie ai metalli erano conseguenza di altra patologie, come la Mcs (Sensibilità chimica multipla) e/o la Pemfigoide che le furono diagnosticate in seguito, a testimonianza delle persistenti possibilità (non smentite dalle conclusioni tecniche sostenute dalla difesa), di spiegazioni causali alternative, e dunque di alternativi decorsi causali quantomeno equiprobabili a quelli denunciati.
Contro la sentenza, proposero ricorso in cassazione sia la paziente che il medico, secondo il quale la corretta formula avrebbe dovuto essere "il fatto non sussiste". Sottigliezza non di poco conto in quanto se il "fatto che non costituisce reato" non è detto che non sussista una inadempienza civile. Se il fatto non sussiste, al contrario, non esiste neppure responsabilità.
Secondo la prospettazione del medico, la corte territoriale sarebbe incorsa in un'evidente contraddizione, per aver pronunziato la formula assolutoria, secondo cui il fatto non costituisce reato, pur avendo espressamente dato atto dell'insussistenza di alcuna prova certa circa il nesso di derivazione causale tra la condotta dell'imputato e l'evento lesivo sofferto dalla paziente.
Secondo la paziente, al contrario, il medico era al corrente dell'allergia al nichel in data antecedente all'impianto e, di conseguenza, il sanitario era venuto meno all'accordo raggiunto con il consenso informato che non prevedeva, a detta della paziente, l'uso di quel materiale, tesi respinta dai giudici.
Articolo tratto da Il Sole 24 Ore Sanità (Wel/ Dire)