(DIRE) Roma, 13 mag. - Due diversi articoli pubblicati pochi giorni fa su Nature Medicine affrontano il tema della gestione dei dati generati grazie alla diagnostica genomica. Entrambi evidenziano l'importanza di prevedere policy di condivisione e integrazione delle informazioni il più possibile snelle e agevoli, per consentire alla ricerca clinica di trarne vantaggi con ricadute positive a livello globale. Il tutto, però, senza inficiare la riservatezza dei dati dei pazienti e facendo sì che i database siano interoperabili fra loro e non "silos" reciprocamente non interconnessi. Lo ha fatto sapere l'Aifa con una nota sul proprio sito.
La garanzia della privacy dei pazienti che acconsentono a mettere a disposizione dei ricercatori i dati estrapolati direttamente dalla sequenziazione del loro genoma è oggetto di discussione. Da un lato, vi è la necessità di far sì che sia impossibile risalire all'identità di questa sorta di "donatori" di informazioni personali, codificandone i dati sensibili e restringendo l'accesso ai database ai soli ricercatori le cui finalità scientifiche coincidano esattamente con quelle espresse nel consenso informato sottoscritto dai pazienti. Dall'altro, vi è la ragionevole perplessità che tali restrizioni chiudano la possibilità di fare ricerca, limitando l'accesso alle cure innovative proprio a coloro che dovrebbero maggiormente beneficiarne.
La soluzione potrebbe risiedere nella volontà dei pazienti stessi, evidenzia l'editoriale "More options = more access", i quali sono molto più propensi di quanto ci si aspetti a rinunciare alla tutela della loro privacy per condividere a favore della ricerca informazioni mediche personali. Come dimostrato in un recente studio, infatti, i pazienti considerano che i benefici del mettere a disposizione i dati ricavati dalle analisi sui campioni dei loro tumori superano di gran lunga gli eventuali rischi di una vulnerabilità della loro riservatezza e riconoscendo il valore scientifico a valenza internazionale della genomica sul cancro ne accettano di buon grado la disponibilità ad accesso libero.
Vi è ampio consenso sul fatto che l'identificazione delle anomalie del DNA nelle cellule tumorali è fondamentale non solo per arrivare ad una migliore comprensione del cancro, ma anche e soprattutto per sviluppare trattamenti di precisione per i pazienti. A tal fine, evidenzia il secondo studio pubblicato su Nature Medicine, è necessario un approccio unificato globale per massimizzare la capacità di riconoscere i modelli biologici tra i gruppi di pazienti e utilizzare tale conoscenza per orientare in maniera efficace gli interventi preventivi e terapeutici.
Tuttavia, oltre alla difficoltà di ottenere pieno accesso a tali dati a causa delle policy sulla privacy, esistono oggettivi impedimenti di tipo tecnico informatico che necessitano di un approccio condiviso e internazionale, su input di governi e sistemi regolatori. Banalmente, la prima disomogeneità da affrontare è quella del vocabolario, che richiede di adottare una nomenclatura e una classificazione delle malattie univoca in tutto il mondo, ricorrendo a strumenti quali l'International Classification of Diseases (ICD) dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e la Systematized Nomenclature of Medicine Clinical Terms (SNOMED CT) del NIH statunitense. Vi è poi il tema dell'individuazione di standard omogenei per l'aggregazione, la pulizia e l'analisi dei dati provenienti anche da fonti diverse, nel rispetto della qualità delle informazioni. Nonché la questione, al momento dibattuta negli USA, su dove poi questi dati potranno risiedere, se in repository locali tra loro interconnessi o se in un unico grande data-warehouse federale.
Una volta superati i limiti tecnici, sarà poi necessario trovare una linea di condivisione per gli aspetti etici e normativi dei vari paesi. Senz'altro, la sempre maggiore consapevolezza dei pazienti nell'adesione al trattamento dei loro dati clinici sarà una chiave per uniformare le policy di consenso informato e per renderle il più conformi possibile alle finalità della ricerca e alla tutela dell'autonomia decisionale dei pazienti stessi. Sarà necessario un quadro normativo e regolatorio che favorisca la condivisione dei dati aperti a livello transfrontaliero, nonché la definizione e l'adozione di un'etica responsabile da parte dei ricercatori che faranno uso di tali dati.
E' indubbio che anche in questo contesto la valorizzazione della partecipazione attiva del paziente sarà cruciale per inserirlo sempre più in un processo di cura mirato alle sue necessità, in cui possa essere protagonista delle scelte terapeutiche che lo riguardano, e allo stesso tempo offrire supporto consapevole al progresso scientifico a vantaggio della collettività.
(Wel/ Dire)