(DIRE) Roma, 21 giu. - "È facile visitare una persona 'normale', molto meno una rifugiata o immigrata con un passato traumatico alle spalle. Potrebbe vivere come un'aggressione anche il solo atto del medico che gli pone le mani addosso per la visita". Lo afferma, all'agenzia Dire, Musa Awad Hussein, medico specialista in Chirurgia generale, consigliere Fnomceo e componente degli organi direttivi dell'Omceo Roma, all'indomani della Giornata mondiale del rifugiato.
"Per questo motivo ribadisco che accanto al consueto controllo organico, necessario per scongiurare possibili malattie e infezioni di cui gli immigrati e rifugiati possano essere portatori, ci sia anche una forte attenzione sul versante psicologico. Sono soggetti traumatizzati dalle violenze fisiche e psichiche- continua il medico- e dalla paura di essere rimandati indietro".
Awad non dimentica la parte clinica delle donne che hanno subito un'amputazione genitale. "Sembra un fatto marginale- avvisa il medico- ma aiutare queste donne a partorire vuol dire avere equipe mediche competenti e attrezzate. Ricordo che una donna con mutilazioni genitali femminili (Mgf) è più soggetta a contrarre infezioni rispetto alle altre donne". In genere la maggior parte degli ospedali "esegue in questi casi dei parti cesarei, poiché se quello naturale non viene effettuato da medici esperti possono aumentare i rischi di lacerazione. Se prepariamo le donne con Mgf al parto con l'ausilio di un'equipe competente- continua Awad- allora sarà possibile eseguire il parto in modo naturale, che è meno dannoso".
Il medico occidentale è "poco preparato sull'argomento- rimarca il consigliere del comitato centrale Fnomceo- è un tema che conosce poco. Ne ha certamente sentito parlare ma difficilmente lo ha visto". Fortunatamente in Italia qualcosa si muove e "qualche centro comincia ad occuparsene, come l'ospedale Umberto I di Roma".
Awad Hussein tocca un altro snodo cruciale a livello sanitario: gli screening obbligatori. "Includerei le donne immigrate e rifugiate, regolari e irregolari, in tutti i programmi di screening che abbiamo sul territorio, a partire da quello mammario e delle cervici uterine. Anche gli uomini vanno inclusi negli screening del retto e della prostata. Sono controlli che svolgiamo su tutti i cittadini italiani ed è giusto eseguirli anche sugli stranieri. Non è solo un discorso umanitario- afferma il medico- è una questione economica: costa meno fare screening che avere persone malate in ospedale".
Infine l'annoso problema della circoncisione: "Per le religioni musulmana e non musulmana dell'Africa (anche i cristiani africani praticano la rimozione chirurgica del prepuzio dall'organo riproduttivo maschile) abbiamo recentemente avuto un ragazzino morto a Torino, una persona con complicanza seria a Roma e, in passato, altri due morti in Veneto e Puglia. Poiché nelle strutture sanitarie manca un regolamento interno che consenta di effettuare tale pratica- precisa il chirurgo- i rifugiati e gli immigrati che vogliono circoncidere i loro figli maschi sono costretti a rivolgersi in strutture non protette con conseguenze anche mortali. In un Paese multietnico bisogna consentire di effettuare la circoncisione in strutture sanitarie pubbliche e protette. Sia chiaro- sottolinea il medico- le Asl non possono pagarla perché non è inserita nei Livelli essenziali di assistenza (Lea). Allora si faccia pagare un costo al privato, ma si salvaguardi la salute del bambino. È inaccettabile avere in un Paese civile morti e infetti per un atto medico semplice e banale- conclude Awad- non consideriamo solo i morti, pensiamo a tutti quegli interventi fatti male e su cui bisogna intervenire nuovamente per correggerli. Sono traumi non indifferenti per il ragazzino".
(Rac/ Dire)