Roma, 27 gen. - Un blitz che riporterebbe le lancette della concorrenza all'era "pre-lenzuolate". Fa discutere l'emendamento al Ddl concorrenza in discussione al Senato che porrebbe rigidi vincoli alla presenza di soci di capitale nelle società del settore odontoiatrico. Un sostanziale dietrofront rispetto all'attuale disciplina delle società tra professionisti. Sei proposte identiche presentate in commissione Industria, con firmatari bipartisan (Pd, M5S, Ap, Fi, Al-A), dispongono che "i soci di società operanti nel settore odontoiatrico, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere iscritti all'Albo degli odontoiatri".
Un passo indietro rispetto alle liberalizzazioni Bersani del 2006 che avevano favorito lo sviluppo di aziende specializzate in cure odontoiatriche, con la creazione di diverse catene di cliniche che - secondo stime di settore - hanno creato 5mila posti di lavoro, con la collaborazione di 3mila odontoiatri, e negli ultimi cinque anni hanno attratto investimenti internazionali per 200 milioni (con ulteriori 500 milioni attivabili nei prossimi tre anni).
L'Andi (Associazione nazionale dentisti italiani) parla di norme che "possano tutelare i dentisti liberi professionisti in tema di concorrenza e di esercizio abusivo della professione". L'emendamento però mette in discussione un principio centrale dello stesso Ddl, l'apertura dei mercati (ma regolata) anche nel campo delle professioni. In base alla norma vigente i professionisti potrebbero anche essere titolari di meno dei due terzi del capitale a patto che lo statuto garantisca agli stessi almeno i due terzi dei voti. Le modifiche in discussione al Senato limiterebbero la libertà dei soci di ricorrere a questi patti in sede di statuto, stabilendo direttamente e in modo esclusivo che ai dentisti vanno almeno i due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto.
Il testo dell'emendamento prosegue specificando che "non è concessa alcuna autorizzazione per l'esercizio in strutture odontoiatriche intestate a sanitari non in possesso dei titoli abilitanti all'esercizio della professione odontoiatrica di cui alla legge 24 luglio 1985, n. 409, ovvero a società operanti nel settore odontoiatrico in cui il direttore sanitario o un suo delegato non sia iscritto all'Albo degli odontoiatri".
Secondo le cliniche dentistiche il secondo punto - ovvero l'obbligo che il direttore sanitario sia un odontoiatra - è pienamente condivisibile ed è tra l'altro nella prassi già richiesto in molte regioni e messo in pratica dalle società. È?invece il primo passaggio, relativo al limite alla compagine sociale delle società di capitali, a essere giudicato il punto critico, "un modo surrettizio per mettere fuori gioco la concorrenza delle catene di cliniche".
Articolo tratto da "Il Sole 24 Ore".
(Wel/ Dire)