Roma, 26 gen. - Fai troppi cesarei? Paghi. O meglio ricevi meno soldi dalla Regione. Una delle pratiche chirurgiche più discusse, ormai da anni una spina nel fianco del sistema sanitario italiano, viene presa di mira in modo nuovo dalle amministrazioni locali. Se non sono bastate le linee guida, le raccomandazioni ai professionisti, le minacce alle cliniche convenzionate, forse ad avvicinare l'Italia alle percentuali di interventi in sala parto richieste dall'Oms saranno i soldi. Due grandi Regioni, Lazio e Lombardia, si stanno muovendo in modo molto simile per colpire gli ospedali in una delle voci che in questi anni di crisi è più sensibile, quella del bilancio. Altre intanto, dalla Puglia alla Sicilia, agiscono sui manager delle Asl, mettendo la riduzione dei cesarei tra gli obiettivi in base ai quali viene valutato il loro lavoro e decisa la conferma dell'incarico.
Bisogna abbassare quel tasso, che a livello nazionale è del 35,5%. Magari non si arriverà subito al 15% indicato dall'Oms e da tutte le linee guida internazionali, ma intanto si incomincerà ad avvicinarsi. Come sempre, anche in questo campo l'Italia sanitaria parte divisa in tanti sistemi tra i quali spiccano, per motivi diversi, il 59,5% della Campania e il 21% della Toscana. Di recente Agenas, l'agenzia delle Regioni, ha pubblicato il Pne, Piano nazionale esiti. "Il cesareo rispetto al parto vaginale comporta maggiori rischi per la donna e per il bambino e dovrebbe essere effettuato solo in presenza di indicazioni specifiche", è scritto nel documento. Nel Pne tutte le maternità italiane vengono confrontate e salta subito agli occhi la tendenza delle strutture campane a ricorrere al cesareo. È difficile scalzare una pratica che ormai non solo è promossa dai medici, ma anche richiesta dalle donne. Eppure non è impossibile, visto che anche in questa Regione ci sono strutture come la clinica Villa Platani di Avellino, che si attesta poco sopra il 15%.
Per ogni prestazione sanitaria svolta dalle strutture sanitarie, pubbliche o convenzionate, è prevista una tariffa. Ogni Regione a fine anno conta il numero di ricoveri, interventi, visite svolti e assegna un budget ai vari ospedali. Lombardia e Lazio agiranno su questo meccanismo per colpire chi fa troppi parti cesarei. Il Pirellone ogni quattro mesi passerà al setaccio i certificati dei parti fatti nelle 76 maternità regionali, pubbliche e private convenzionate. Poi stilerà una classifica: chi si troverà ai primi posti, perché avrà effettuato l'intervento chirurgico solo quando è effettivamente indicato, verrà premiato, con un bonus di 550 euro (il 25 per cento in più) in aggiunta ai 2.200 euro della tariffa regionale. Al contrario, gli ospedali da "maglia nera", poiché in fondo alla graduatoria, perderanno parte dei rimborsi, e saranno costretti a rinunciare, per ogni cesareo non necessario, a 220 euro (il 10 per cento della tariffa). Per stabilire quando serve il cesareo, praticato nel 27,8% dei casi in Lombardia, ci si affiderà a uno schema internazionale, la classificazione di Robson, che distingue in varie classi le donne che devono partorire in base alle condizioni sanitarie delle pazienti. Si muove in modo simile anche il Lazio, che ha una percentuale di cesarei ben più alta, intorno al 40%. Il sub commissario per la sanità, Giovanni Bissoni, nelle prossime settimane presenterà un piano che prevede una riduzione del rimborso alle strutture pubbliche e convenzionate che fanno troppi interventi chirurgici. Qui non sembra esserci l'intenzione di premiare chi va bene. Nel Lazio, in particolare a Roma, come evidenzia il Pne, ci sono molte strutture convenzionate che hanno la maternità. In molti casi questi ospedali fanno pochi parti e tanti cesarei. Anche qui punta sulla leva economica per ridurne il numero. Per una volta meno soldi potrebbero voler dire una sanità migliore.
Articolo tratto da "La Repubblica".
(Wel/ Dire)