Roma, 12 gen. - Per qualcuno è quasi un appuntamento fisso. Ci si misura la pressione, si fanno quattro chiacchiere sullo stato di salute, si chiede la prescrizione per i controlli. Il passaggio nell'ambulatorio del medico di medicina generale, insomma, diventa un momento chiave nella gestione del benessere, specie per chi soffre di malattie croniche. Ma quanto incide la gratuità di questa prestazione sul ricorso ad essa? In parole povere, saremmo disposti a contribuire ogni volta, con una cifra magari non eccessiva, a sostenere la spesa della visita ambulatoriale del medico di famiglia? Per ora in Italia non si parla di questa ipotesi, ma in alcune nazioni già esiste una sorta di ticket e anche nel Regno Unito inizia a farsi strada questa possibilità. La prova viene dalle pagine del prestigioso British Medical Journal, che mette a confronto le opinioni di due medici, uno favorevole all'ipotesi che i cittadini paghino qualcosa per la sanità di base, l'altra fermamente contrario a questa scelta. Secondo David Jones, "l'accusatore" della medicina generale gratuita, sarebbe ora di smettere di considerarla tale, soprattutto per liberare risorse da destinare alla copertura di altre spese perché ½oggi questo sistema non sarebbe più sostenibile».
Responsabilizzazione dei pazienti. Ovviamente anche in questo caso dovrebbe esistere una sorta di esenzione per le categorie a rischio, come i bambini (da noi per loro c'è il pediatra) e gli anziani o alcuni malati cronici, come già avviene per i farmaci e per i trattamenti. I vantaggi di questa scelta sarebbero moltissimi: un calo delle visite "saltate", con abbreviamento delle attese, e soprattutto una maggior responsabilizzazione degli utenti, che diverrebbero maggiormente coscienti del loro stato di salute e troverebbero più facilmente soluzioni per i piccoli disturbi. Come esempio di questa strategia, sul British Medical Journal viene citato il caso dell'Australia: per ogni visita dal medico di famiglia occorre sborsare poco più di dieci euro, per compartecipare alla spesa, senza che si registri un effettivo calo nel ricorso alle sue cure. A difendere la gratuità (per il cittadino) del medico di medicina generale è invece Nancy Loader, che si preoccupa soprattutto per l'incremento dei costi del singolo e per un possibile calo nello stato di salute - in particolare in ambito preventivo - per gli utenti.
Undicimila visite all'anno. Le esperienze, in questo senso, sono chiare. In Nuova Zelanda e nella Repubblica d'Irlanda, si precisa sul British Medical Journal, è sempre esistito un contributo al pagamento per il medico di famiglia. ½Questo ha interferito con l'iniziale accesso ai trattamenti e ha limitato le misure preventive, con un incremento dei costi in termini di cure secondarie» racconta la dottoressa. Addirittura, secondo il punto di vista della Loader, c'è il rischio che una persona accumuli diverse problematiche di salute per sfruttare al meglio la visita a pagamento e che si arrivi a prescrizioni non necessarie. Insomma: avere un punto d'accesso al sistema sanitario sarebbe positivo sia sotto l'aspetto economico che sul fronte della salute dei cittadini. In Italia, cosa si pensa? Anche da noi ci sono medici di medicina generale che forse non sarebbero contrari all'ipotesi di una partecipazione al pagamento delle visite da parte dei cittadini. Ma probabilmente il problema è più complesso, in particolare in termini organizzativi. Oggi un medico di famiglia nel nostro Paese ha circa 11mila contatti in ambulatorio l'anno, il che significa che vede una persona almeno dieci volte nel corso dei dodici mesi.
Corretta gestione dei malati cronici. Apparentemente, quindi, esiste forse un eccesso di richiesta di prestazioni. Attenzione però. ½È la gestione organizzativa che va rivista - spiega Ovidio Brignoli, medico di medicina generale a Brescia e vice-presidente nazionale Simg (Società Italiana di Medicina Generale) - Il passaggio chiave è la corretta gestione delle cronicità. Che oggi rappresentano circa il 70 per cento degli accessi nei nostri ambulatori. Sarebbe fondamentale che il medico riuscisse a programmare le visite e poi venisse valutato in base al processo che riesce a mettere in atto e soprattutto sui risultati clinici che ottiene nei pazienti che segue. In questo modo davvero si crea un'alleanza virtuosa, con il sanitario che riesce a organizzare meglio il proprio lavoro e il malato che non di sente mai abbandonato, pur se con una riduzione globale degli accessi legata proprio a una migliore gestione degli appuntamenti». Articolo tratto da Corriere.it (Wel/ Dire)