Roma, 4 apr. - Current Pharmaceutical Design pubblica una review di Sally Huber dell'Università del Vermont (USA) sulle miocarditi, nella quale vengono esaminati i vari aspetti di queste patologie trattati dalle pubblicazioni scientifiche degli ultimi anni, dalla prognosi allo stato dell'arte della terapia.
Molti dei virus che causano una patologia respiratoria, quali il virus dell'influenza o gli enterovirus, sono in grado di infettare anche il muscolo cardiaco e di scatenare una reazione immunitaria come risposta all'infezione stessa. Per quanto riguarda la prognosi, le patologie che ne conseguono possono andare a forme lievi a fatali (miocardite fulminante).
A quest'ultimo gruppo appartengono ad esempio le miocarditi virali, che rappresentano la prima causa di morte improvvisa negli uomini al di sotto dei 40 anni.
Le donne, per qualche motivo, hanno una minore incidenza di miocarditi virali o comunque, sviluppano delle infezioni di gravità inferiore rispetto a quelle presentate dagli uomini.
In alcuni casi le infezioni decorrono in modo acuto e tendono ad autolimitarsi; i pazienti si riprendono senza grandi problemi una volta eliminato il virus. Altri pazienti tuttavia, nella fase acuta dell'infezione presentano una grave compromissione della funzionalità cardiaca che può arrivare a richiedere l'impiego di un dispositivo di assistenza ventricolare (LVAD).
Ci sono poi i pazienti che sviluppano una miocardite cronica, derivante o da una persistenza dell'infezione virale che l'organismo non riesce a sbarazzarsi del virus o dalla comparsa di una reazione autoimmune diretta contro le proteine del cuore. Una miocardite cronica può nel tempo evolvere verso una cardiomiopatia dilatativa che può portare a sua volta al trapianto cardiaco. Si stima che circa un caso di cardiomiopatia dilatativa su tre sia causato proprio da un'infezione virale.
Sebbene da un punto di vista istologico queste patologie si associno in genere ad un infiltrato miocardico di eosinofili o di leucociti, l'impiego di immunosoppressori è molto dibattuto, con la sola eccezione forse della miocardite a cellule giganti. Le ricerche condotte in questi anni hanno dimostrato la scarsa utilità degli immunosoppressori anche nella miocardite linfocitica.
Il trattamento delle infezioni virali persistenti con interferon beta, in untrial clinico si è invece dimostrato in grado di migliorare la funzionalità cardiaca. Per contro, gli immunosoppressori tradizionali, dalla ciclosporina, alla ciclofosfamide non risultano efficaci in tutte i casi di danno autoimmune. Addirittura, in modelli sperimentali di miocardite si è potuto dimostrare che alcune forme immunopatogenetiche di malattia sono del tutto resistenti a questi farmaci.
La comprensione dei meccanismi molecolari alla base della patogenesi della malattia e dei vari agenti eziologici sarà essenziale per sviluppare delle terapie efficaci.
Sono stati condotti a questo proposito vari esperimenti su modelli animali di miocardite per definire ad esempio questa 'propensione' della miocardite virale per i maschi ed è stato ipotizzato che il testosterone promuova delle risposte autoimmuni che danneggiano il cuore, mentre nelle donne gli estrogeni eserciterebbe un effetto protettivo sia nei confronti delle infezioni virali che delle reazioni autoimmuni a livello cardiaco. Articolo tratto da quotidianosanita.it (Wel/ Dire)