(DIRE) Roma, 16 ott. - "Per il 'fine-vita' e' necessario il coinvolgimento del mondo chirurgico. Ma soprattutto e' necessario un documento, approvato anche dalle societa' scientifiche di area chirurgica, che possa aiutare il clinico e il paziente nella scelta tra un'opzione chirurgica o un percorso di cure palliative nella fase di fine vita". Ne e' convinto Luigi Riccioni, anestesista-rianimatore del Centro di Rianimazione dell'Ospedale 'San Camillo Forlanini' di Roma, che spiega: "L'invecchiamento progressivo della popolazione ha aumentato enormemente il numero di pazienti con insufficienze d'organo croniche. Stabilire se, in caso di scompenso, si configuri un quadro di fase terminale della malattia, rappresenta allora un compito estremamente impegnativo per l'intensivista".
La grande novita' degli ultimi anni, intanto, e' stata la pubblicazione di un documento sul trattamento dei pazienti con insufficienza cronica d'organo in fase 'end stage'. "Questo documento- fa sapere ancora Riccioni- offre al clinico una nuova metodologia, basata anche sull'esame di una serie di criteri clinici specifici, per facilitarne le decisioni cliniche ed etiche". Ma quanto sono cambiati questi criteri negli ultimi anni? "In realta' non hanno subi'to grosse modifiche nell'ultimo decennio- risponde l'anestesista-rianimatore del Forlanini- ma e' difficile verificarlo, perche' questi criteri, prima del suddetto documento, non erano mai stati codificati in modo cosi' chiaro e sistematico".
Tra i provvedimenti piu' urgenti che dovrebbero essere intrapresi, inoltre, secondo Riccioni in primo luogo bisogna "diffondere la cultura della 'rianimazione aperta'. Purtroppo l'appello lanciato in uno storico editoriale del 2002- sottolinea- intitolato 'Let's open the door' e' stato accolto in un numero troppo limitato di rianimazioni italiane (solo il 2% secondo gli ultimi dati). In secondo luogo, occorre diffondere la cultura della proporzionalita' delle cure, sulla scia della pubblicazione del documento intersocietario".
Ma quanto e' importante e quanto giova al paziente dare la parola ai familiari in terapia intensiva? "È stato dimostrato che un supporto psicologico precoce- risponde ancora l'anestesista-rianimatore del 'Forlanini' Riccioni- e' in grado di ridurre significativamente l'incidenza di disturbi psichiatrici a distanza. Benche' non sia stato ancora dimostrato da alcun studio, e' pero' probabile che il supporto fornito in rianimazione dai familiari possa essere altrettanto efficace. Per non parlare poi- conclude- degli effetti benefici sui familiari stessi".
(Cds/Dire)