Roma, 12 nov. - Non commettono più reato i medici che selezionano gli embrioni anche per evitare l'impianto nell'utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili. Continua invece ad essere vietata e quindi penalmente sanziona la soppressione degli embrioni, anche quando sono embrioni soprannumerari, affetti da malattie genetiche, a seguito di una selezione finalizzata ad evitarne appunto l'impianto nell'utero della donna.
È quanto hanno deciso i giudici della Corte Costituzionale che con la sentenza 229/2015 hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale dell' art. 13 commi 3, lettera b) e 4 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 e non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14 ai commi 1 e 6.
A promuovere il giudizio di legittimità costituzionale il Tribunale ordinario di Napoli nel procedimento penale a carico di alcuni professionisti, che aveva sollevato una duplice questione di legittimità costituzionale nella parte in cui contemplano quali ipotesi di reato rispettivamente, la selezione eugenetica e la soppressione degli embrioni soprannumerari "senza alcuna eccezione" non facendo, quindi, salva l'ipotesi in cui questa condotta "sia finalizzata all'impianto nell'utero della donna dei soli embrioni non affetti da malattie genetiche o portatori sani di malattie genetiche" e la soppressione, conseguentemente, gli embrioni soprannumerari affetti, invece, da queste malattie.
Le decisioni della Corte. Gli ermellini hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 13 al comma 3, lettera b (che vieta ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche) e al comma 4 (che prevede reclusione fino a sei mesi e multe fino a 150mila euro per chi viola la norme.
Già con la recente sentenza n. 96 del 2015 la Corte aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1 nella parte in cui non si consentiva il ricorso alle tecniche di Pma alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità stabiliti dalla legge e accertate da apposite strutture pubbliche.
Di conseguenza per gli ermellini "quanto è divenuto così lecito, non può dunque, per il principio di non contraddizione, essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante.
Al contrario i giudici della Suprema Corte hanno dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, che contempla i limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni, nella parte in cui vieta la crioconservazione e la soppressione di embrioni e prevede la reclusione fino a sei mesi e multe fin a 150mila euro per chi commette reato (commi 1 e 6).
Per i giudici la malformazione degli embrioni non ne giustifica, e solo per questo, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani creati in numero superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto" e si prospetta quindi "l'esigenza di tutelare la dignità dell'embrione, alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella della procedura di crioconservazione".
"L'embrione, infatti - scrivono i Giudici della Corte Costituzionale - quale che ne sia il più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico".
Le conclusioni. La Corte ha quindi dichiarato: l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, commi 3, lettera b), e 4 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l'impianto nell'utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui all'art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela della maternità e sulla interruzione della gravidanza) e accertate da apposite strutture pubbliche; non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), sollevata - in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione ed all'art. 117, primo comma Cost., in relazione all'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 - dal Tribunale ordinario di Napoli.
Articolo tratto da www.quotidianosanita.it (Wel/ Dire)